Gli Stati Uniti hanno ricevuto il rifiuto dell’Iran all’inizio di nuovi negoziati sul dossier nucleare. Washington però non ha intenzione di forzare i tempi e bruciare le tappe di un colloquio che punta alla sostanza
Tre settimane fa, l’accordo sul nucleare iraniano Jcpoa sembrava al centro di dinamiche che avrebbero portato Stati Uniti e Iran a parlarsi in tempi rapidi – nel tentativo di ricomporre l’intesa da cui l’amministrazione Trump aveva portato fuori Washington, producendo una sorta di sospensione. L’amministrazione Biden aveva accettato un framework di contatto pensato dall’Unione europea, mentre la Russia e la Cina hanno preso un approccio “più simpatetico” con l’Iran, per dirla come il New York Times. Teheran sembrava d’accordo, salvo poi rifiutare un primo incontro che avrebbe dato il calcio d’inizio ai negoziati
Il presidente iraniano Hassan Rouhani, che con la sua linea pragmatico-riformista ha spinto l’accordo e ancora lo sostiene come arma politico elettorale in vista delle elezioni di giugno, ha recentemente avuto conversazioni dirette con i leader di Londra e Parigi. La linea di Teheran è però ferma: gli Stati Uniti dovrebbero rientrare prima di loro nel rispetto del Jcpoa – ossia dovrebbero eliminare le sanzioni riattivate dopo l’uscita, così l’Iran interromperebbe le violazioni controllate.
“L’America è stata la prima a rompere con l’accordo e dovrebbe essere la prima a tornarci “, ha detto Rouhani in una riunione con i ministri questa settimana, calcando su una posizione dalla quale ha pochi spazi per uscire (e uscirne fornendo concessioni a Washington significherebbe finire in pasto ai falchi conservatori). Poi ha specificato: “L’America dovrebbe sapere che siamo pronti ad attuare l’accordo. Siamo pronti a tornare ai nostri impegni completi in cambio del loro pieno ritorno o parte dei nostri impegni per il loro parziale ritorno”.
Posizione ribadita anche dal ministro degli Esteri, Javad Zarif, figura molto attiva del governo. C’è una finestra di opportunità stretta, come si è ricordato più volte (ultimo a farlo l’Alto rappresentante Ue Josep Borrell), ma gli Stati Uniti non sembrano pronti a concessioni. Lo ha confermato durante l’audizione alla Commissione Esteri della Camera il segretario di Stato. Posizione per molti aspetti ripresa dall’inviato speciale americano Robert Malley in un’intervista ad Axios – la prima dopo avere ricevuto l’incarico. Non saranno le elezioni iraniane a determinare le azioni americane sul dossier, ha spiegato, confermando che sostanzialmente c’è una non-sovrapposizione di priorità tra Washington e Teheran (come spiegato su queste colonne da Aniseh Bassiri Tabrizi del Rusi).
“In altre parole, non avremo fretta né rallenteremo a causa delle elezioni iraniane”, ha detto Malley: “La nostra opinione è che i colloqui diretti siano più efficaci e meno inclini a incomprensioni, ma per noi la sostanza è più importante del formato”. Evidentemente lo è anche il tempo, con una consapevolezza da parte degli americani: a Teheran, anche tra i conservatori, ci sono elementi pragmatici che ritengono l’accordo con gli Usa una necessità per il rilancio e lo sviluppo del paese. Ma trattare con loro potrebbe essere molto più complicato, come ha ricordato lo stesso Zarif.