La Commissione europea pubblica i dettagli dell’accordo con la Cina. Vietati gli investimenti in settore strategici come le terre rare e pure i finanziamenti alle Ong. Clamoroso il capitolo sui media: mentre Pechino mantiene il suo mercato chiuso, da anni inonda il nostro di renminbi. E la strada al Parlamento è ancora in salita
No ai settori strategici come l’esplorazione delle terre rare, la mappatura geologica e l’energia atomica. Forti restrizioni sulle telecomunicazioni e alle aree di produzione per il settore automobilistico. Niente da fare anche per settori come Internet, cinema, stampa, radio e televisioni. Soltanto joint-venture (e con forte presenza cinese) per entrare nel mondo dell’assistenza sanitaria privata. Mai e poi mai donazioni a organizzazioni non-profit né investimenti in sondaggi sociali. Tradotto: la Cina si apre, ma non molto.
Quelle sopracitate sono soltanto alcune delle limitazioni all’accordo sugli investimenti raggiunto tra la Commissione europea e il governo cinese contenute nei documenti che l’esecutivo di Bruxelles ha diffuso ieri, dopo oltre due mesi dalla conclusione delle trattative (durate sette anni).
Ci sono due elementi che emergono con chiarezza. Il primo: come dimostra l’attenzione verso alcuni settori precisi, il governo cinese è andato molto nel dettaglio. Come ha spiegato Francesca Ghiretti, esperta dello Iai, su Formiche.net,” è risaputo che con pochissime eccezioni la Cina tende a liberalizzare settori dove le sue imprese hanno già una presenza ben stabilita e quindi dove imprese estere possono entrare ma non presentare una reale competizione per quelle autoctone”. Il secondo: a giudicare dalle limitazioni al settore della cultura e ai finanziamenti di Ong e in sondaggi, Pechino ha tentato di mettere paletti affinché l’accordo non si trasformi in uno strumento di quelle che definisce “interferenze straniere”.
Clamoroso è il capitolo sui media: mentre il mercato cinese rimaste proibito agli investimenti europei, sono noti i molto investimenti cinesi nel settore nei Paesi europei (come già documentato su Formiche.net)
La pubblicazione di questi documenti è la seconda mossa della Commissione europea in poche settimane per provare a convincere un Parlamento europeo molto scettico in vista della ratifica dell’accordo. A metà febbraio, infatti, il vicepresidente Valdis Dombrovskis ha presentato una nuova politica commerciale che prevede un forte impegno contro il lavoro forzato. La nuova linea – prevedere due diligence obbligatorie e minacciare stop all’importazione di beni – potrebbe essere stata dunque dettata alla necessità di mettere una toppa alle formulazioni vaghe (“sforzi continuati e sostenuti di propria iniziativa”) contenute nell’accordo sull’impegno della Cina a rendere illegale il lavoro forzato.
Basterà? A giudicare da quanto dichiarato da Nathalie Loiseau, già ministro degli Esteri francese oggi presidente del comitato Difesa e sicurezza al Parlamento europeo, la strada è ancora in salita. Intervistata dall’Atlantic Council, ha risposto così a una domanda sulla ratifica dell’accordo da parte del Parlamento europeo: “Non siamo a quel punto”.