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Il messaggio (geopolitico) del viaggio del papa in Iraq secondo Perteghella

“Se pensiamo a cosa è stato l’Iraq negli ultimi vent’anni, il fatto che ora un Pontefice possa farvi visita è un grande messaggio di speranza”. Conversazione con Annalisa Perteghella, ricercatrice del programma Medio Oriente dell’Ispi

Attorno allo storico viaggio in Iraq di Papa Francesco si sovrappongono diversi elementi e livelli di instabilità. Partendo dall’esterno, spiega Annalisa Perteghella (ricercatrice del programma Medio Oriente dell’Ispi), l’Iraq è ormai diventato terreno di scontro tra Stati Uniti e Iran, ma c’è anche la presenza strisciante dei terroristi baghdadisti; la crisi economica dovuta al calo della domanda di petrolio e dei prezzi; le proteste che stanno riprendendo contro una classe politica che fatica a fare le riforme; la pandemia e una campagna vaccinale molto distante dall’essere efficace.

“Se pensiamo a cosa è stato l’Iraq negli ultimi vent’anni, il fatto che ora un Pontefice, pur con le massime misure di sicurezza (qui una ricostruzione del sistema che creerà la bolla di sicurezza, ndr), possa farvi visita è un grande messaggio di speranza e, utilizzando una parola che non mi piace molto, di resilienza: del paese e della sua popolazione”, spiega Perteghella.

“Un segnale di coraggio enorme, che esce da una terra martoriata. Andare lì, è un messaggio potentissimo, perché il Papa dichiara di sfidare tutti quei livelli di criticità e rimette al centro dell’attenzione la popolazione irachena, simbolo chiaramente di tutte le popolazioni della regione”, continua l’analista.

Nelle prime ore di questa mattina, c’è stato quello che viene individuato come il momento più significativo dell’intero viaggio, l’incontro con il Grande Ayatollah al Sistani, a Najaf, la città sacra per gli sciiti. “Una visita privata senza precedenti nella storia”, l’ha chiamata un religioso iracheno con l’Associated Press. Un incontro che il Vaticano pensa da almeno due decenni, senza però trovare le condizioni per farlo avvenire. 

“L’incontro con Sistani è qualcosa di sconvolgente – aggiunge Perteghella – perché l’ayatollah non è soltanto la massima autorità dello sciismo iracheno, ma dello sciismo come dovrebbe essere, ossia quello del pensiero tradizionale, che non vede i chierici dover partecipare alla vita dello stato con un ruolo politico; pensiero poi rovesciato dal khomeismo nell’ottica di un’interpretazione politica dell’Islam”. L’interpretazione dell’ayatollah Khoemeini dell’Islam sciita è ciò che ha prodotto la deviazione della Repubblica islamica.

Questo aspetto è molto importante, perché con l’eccezionale incontro di Najaf (nella casa di Sistani, dove lo sciita per la prima volta non ha accolto il suo ospite da seduto, ma si è alzato per far accomodare il Pontefice su un divano blu, mentre il Papa si è tolto le scarpe entrando), Bergoglio riconosce Sistani come interlocutore. In una lettura geopolitica questo significa dare riconoscimento alla tradizione di Najaf rispetto a quella di Qom, la città santa iraniana per lo sciismo di Khomeini – continuato negli anni dalle varie Guide supreme dell’Iran (attualmente Ali Khamenei).

Sistani ha un enorme potere in Iraq, è una personalità di altissimo livello che riesce a mobilitare le folle (come nel caso della fatwa per chiedere a tutti gli uomini di combattere lo Stato islamico, nel 2014) e si è spesso esposto contro le interferenze iraniane nel paese. Interferenze che la Repubblica islamica muove attraverso i partiti/milizia sciiti, protagonisti anche recentemente di azioni di guerriglia contro gli occidentali. Sistani ha criticato questo gioco di influenza di Teheran, sostenendo anche le richieste avanzate durante le proteste popolari – gli iracheni chiedono al governo e alle istituzioni di concentrarsi maggiormente sui problemi del paese e di sganciarsi da questo genere di sussidarietà.

“Inoltre – continua Perteghella – non può essere certamente sottovalutato il lato supremo dell’incontro e del viaggio stesso, ossia quello del dialogo inter-religioso che esce da un paese devastato dal settarismo e manda il messaggio simbolico ‘Siamo tutti fratelli’ a tutta la regione. Ai cristiani come ai sunniti, o agli sciiti e alle varie minoranze, il significato di quanto Papa Francesco porta con sé è che non è possibile che le differenze religiosi portino a guerre, morti, sofferenze”.



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