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Brunetta e la Pa. Come riprendere il filo della matassa

Se il compito di tutti i ministri chiamati dal presidente Draghi è difficile, quello della riforma della pubblica amministrazione, che spetta al ministro Brunetta sembra il più complesso. Al fine di far decollare il Next generation Eu, infatti, ci vuole un’amministrazione adeguata: Bruxelles si aspetta che il nostro Pnrr abbia tra i suoi assi principali l’adeguamento della pubblica amministrazione

Tutti i ministri di questo governo sono chiamati ad affrontare problemi enormi. Il compito del ministro Brunetta sembra di gran lungo il più complesso. Il 20 maggio 2020 il Consiglio europeo formulava un parere sul programma di stabilità 2020 dell’Italia che raccomandava di mettere al centro del programma 2020 la riforma della pubblica amministrazione. Ora per poter far decollare il Next generation Eu ci vorrebbe proprio una amministrazione adeguata. Del resto Bruxelles si aspetta che il nostro Pnrr abbia tra i suoi assi principali l’adeguamento della pubblica amministrazione. Siamo proprio al caso del cane che si mangia la coda.

Il ministro Brunetta si ritrova in mano la patata bollente della pubblica amministrazione che aveva già maneggiato, secondo noi con abilità, nel 2008-10. Il marchio del ministro Brunetta è riassunto nel Dlgs 150 del 2009, il decreto legislativo che ha “preso di petto” il problema della produttività. Il Dlgs 150 viene ricordato di solito per i “tornelli” istallati agli accessi ai pubblici uffici. Una misura “moralmente” lodevole. Ma il Dlgs 150/2009 è molto di più. Rammentiamo qui: la separazione tra la performance degli uffici e quella dei singoli dipendenti, il superamento della prassi che vedeva riconoscere a tutti il raggiungimento degli obiettivi (superamento realizzato attraverso l’obbligo per i dirigenti di articolare i propri giudizi in tre livelli), l’aver riportato i Nuclei di valutazione sotto la guida del Civit, la possibilità di agganciare gli incentivi alla riduzione dei costi (art. 21 del Dlgs 150/2009).

Non va qui dimenticato che il Dlgs 150/92 veniva derivato dalla legge 42 del 2009, legge nota al grande pubblico come la norma che ha introdotto il federalismo finanziario. Questa legge in effetti rappresenta una pietra miliare nella indispensabile riforma della nostra contabilità pubblica, legge che in buona sostanza introduce una contabilità per missioni. L’art. 21 del Dlgs 150/2009 non ha sin qui trovato attuazione proprio perché la contabilità per missioni (che permetterebbe di conoscere i costi dei singoli prodotti/servizi amministrativi) non ha ancora sostituito in pratica la contabilità tradizionale articolata non per missioni ma secondo la natura dei beni/servizi acquisiti dalla pubblica amministrazione. Qui il ministro Brunetta era stato più rapido dei colleghi del Mef. Il Civit è stato poi assorbito dall’Autorità nazionale anti corruzione (Anac) trasformando i Nuclei di valutazione (che avevano svolto un ruolo meritorio nell’orientare l’azione delle varie branche dell’amministrazione al risultato) in Organismi indipendenti di valutazione che si son trovati invischiati sempre più sul controllo della legalità formale.

L’azione del ministro Brunetta seguiva gli interventi di Cassese (Dlgs 29/1993) e Bassanini (L. 59 del 1997 e collegato Dlgs 286 del 1999). L’intervento di Cassese mette in evidenza per la prima volta che il pubblico impiego non è uno strumento di lotta alla disoccupazione (come spesso veniva concepito il pubblico impiego nel secondo dopoguerra, al punto che gli enti locali dovevano ogni anno mettere a punto un piano occupazionale da sottoporre all’approvazione del ministero dell’Interno, piano inteso espressamente come strumento di contrasto della bassa occupazione) al punto che il Dlgs 29/93 prevede per la prima volta la valutazione dei “carichi di lavoro”. Il Dlgs 29/93 è noto al grande pubblico come il decreto della “privatizzazione del rapporto di impiego pubblico”. Si prende formalmente consapevolezza che la pubblica amministrazione non è solo chiamata a garantire la legalità e l’ordine pubblico, funzioni che giustificano uno status dell’agente pubblico protetto da guarentigie particolari, ma anche a fornire servizi e gestire infrastrutture, funzioni che richiedono competenze professionali sostanziali. Si potrebbe forse affermare che gli interventi di Cassese sono guidati dal paradigma della scoperta della utilità dell’azione amministrativa.

L’intervento di Bassanini riguarda due livelli: (i) da una parte la dislocazione verso la periferia della gestione della fornitura dei servizi (non come scelta politica ma come risposta tecnica mirante ad evitare che il centro diventasse un collo di bottiglia), dislocazione gestita in due tappe, prima con la delega di competenze alle regioni da gestire sotto il controllo dello Stato e, poi, di trasferimento vero e proprio di competenze alle Regioni tramite la modifica del Titolo V della Costituzione; (ii) da un’altra parte con la sistematizzazione dei meccanismi di controllo (Dlgs 286 del 1999) introducendo per la prima volta controlli sui risultati. Si potrebbe qui sostenere che gli interventi di BASSANINI si rifanno al paradigma della distribuzione delle competenze e del controllo.

Tutti questi interventi hanno già modificato significativamente il rendimento della nostra amministrazione. Ora il ministro Brunetta è chiamato a tirare le fila di quasi 30 anni di interventi (a partire dal Dlgs 29 del 1993) e di mettere mano al modello burocratico della nostra amministrazione. Le difficoltà evidenziate dalla messa in opera concreta del telelavoro potrebbero rappresentare un utile spunto. Del resto i problemi possono rappresentare altrettante occasioni di sviluppo appunto per superare i problemi.
Se gli interventi di Cassese sono stati guidati dal paradigma della utilità dell’azione amministrativa e quelli di Bassanini dalla distribuzione delle competenze e dei controlli si può forse sostenere che l’intervento rappresentato dal Dlgs 150/2009 è caratterizzato dal paradigma della performance. Ora il ministro Brunetta è chiamato a chiudere il cerchio: a completare la ristrutturazione del nostro modello burocratico.

In questa opera il ministro potrebbe far riferimento a esperienze settoriali molto positive già maturate in diversi settori della nostra amministrazione. Qui faccio riferimento ai casi dell’Inps e dell’Inail che negli anni ‘80, sotto la guida dell’ingegner Billia, sono state trasformate in organizzazioni basate prevalentemente sui processi. Per fare questo bisognerà avere il coraggio di rimettere le mani su un paio di testi sacri della nostra amministrazione. Da una parte la legge 241 del 1990 (la legge sul procedimento amministrativo e sulla trasparenza). Qui andrà superata la distinzione, prevista dall’art. 5, tra responsabile di procedimento e responsabile di provvedimento per far coincidere le due posizioni in una sola: responsabile di procedimento/provvedimento. Da un’altra parte andrà rivisto l’art 17 del Dlgs 165 del 2000 (il testo unico sul pubblico impiego) che prevede che l’atto a valenza esterna deve necessariamente essere firmato da un dirigente. Il responsabile di provvedimento/procedimento dovrebbe essere il funzionario (quadro intermedio caratterizzato dalla rappresentanza funzionale dell’amministrazione). Questo comporterà una ridefinizione della funzione del dirigente che, da super esperto specialistico, dovrà evolvere in un coordinatore di risorse e programmatore delle attività. Qui c’è da augurarsi che i sindacati non si mettano di traverso.

C’è ancora una sfida che richiede una risposta urgente: dopo i blocchi al rinnovo del turn over dovuti agli interventi del governo Monti, le nostre amministrazioni sono ridotte al minimo delle loro capacità operative per mancanza di risorse umane. Sarà necessario assumere in breve tempo una grande quantità di funzionari. Ci si augura che il ministro sappia trovare una soluzione al problema che non sia solo contingente ma ponga le basi per un reclutamento programmato che sia basato sul bisogno di sostituire il turn over i di n maniera sistematica. La messa a punto di una griglia di profili professionali per i quali realizzare delle prove selettive a scadenze fisse, in modo da creare delle liste di idonei dalle quali le singole amministrazioni possano pescare le risorse di cui hanno bisogno quando si crea la vacanza. Quella del reclutamento è una sfida forse maggiore di quella rappresentata dal Pnrr: si tratta di creare dei filtri per far entrare nella Pa risorse umane che la popoleranno per i prossimi 30 anni!


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