Accordo tra aziende canadesi, americane ed europee per creare una supply chain in Occidente e mitigare i rischi di un persistente dominio della Cina in una filiera industriale critica. Un segnale del business, ma non solo…
Nella giornata di ieri (lunedì 1 marzo, ndr), l’azienda canadese NEO Perfomance Materials e la statunitense Energy Fuels hanno annunciato un’iniziativa congiunta per la creazione di una supply chain transatlantica per le terre rare, elementi essenziali per i piani industriali green-tech di Stati Uniti e Unione europea.
Secondo l’accordo, la compagnia americana – specializzata nella lavorazione di uranio, un elemento che spesso è associato ai giacimenti ricchi di terre rare – estrarrà e processerà i minerali contenenti i metalli rari presenti nei depositi dello Utah per poi spedirli come sottoprodotto agli impianti di raffinazione di NEO a Sillamäe, in Estonia, che provvederanno a separare i singoli elementi. Si tratta di minerali con un alto contenuto di terre rare leggere come neodimio, praseodimio, essenziali per la produzione dei magneti utilizzati nelle turbine eoliche, nei motori elettrici e in dispositivi militari, come per gli F-35.
Una partnership industriale che è il culmine di un intenso dialogo iniziato nell’aprile dello scorso anno, poco dopo che Energy Fuels iniziò un progetto pilota nel sito di White Mesa. A dicembre Energy Fuels ha infine siglato un contratto di fornitura con la compagnia chimica e mineraria americana Chemours per 2.500 tonnellate all’anno di monazite, il minerale ricco di terre rare estratto in Georgia e nel Sud-Est degli Stati Uniti.
Attualmente la divisione europea di NEO non potrà garantire il recupero di terre rare pesanti come disprosio e terbio, per ora prodotte soltanto in Cina. Una volta raggiunta la produzione in scala, questa collaborazione renderà possibile l’integrazione di una filiera commerciale per lungo tempo inesistente fuori dalla Cina, da quando chiusero e fallirono le ultime attività negli Stati Uniti. Infatti, Gli impianti di raffinazione di NEO in Estonia, “Silmet”, sono stati gli unici rimasti in attività in Europa da quando la Cina è diventata il principale produttore ed esportatore a livello mondiale.
L’azienda canadese, ereditaria del know-how scientifico-industriale di Magnequench, un tempo divisione specializzata nella produzione di magneti di General Motors, è una realtà globalizzata, il cui business è organizzato in tre segmenti: magnequench, chemicals & oxides e rare metals. NEO ha sede a Toronto, con uffici in Colorado, Singapore e Pechino, e possiede impianti di produzione in Giappone, Cina, Tailandia, Estonia, Germania, Regno Unito e Corea del Sud.
L’annuncio di un accordo di tale portata rappresenta un segnale fortemente positivo per la sovranità tecnologica e l’autonomia strategica di Stati Uniti e Unione europea, in un’ottica di cooperazione industriale tra i principali player tra le due sponde dell’Atlantico. “Produrre materiale di terre rare di qualità da risorse minerali è un passo enorme per la nostra azienda e per i consumatori di terre rare” ha dichiarato Constantine Karayannopoulos, amministratore delegato di NEO. Questi minerali sono particolarmente ricchi di terre rare preziose per le componenti magnetiche ed elettroniche e spesso associate ad elementi radioattivi che rendono poco sostenibile a livello finanziario (per l’alto costo di produzione) e ambientale l’estrazione.
“Energy Fuels ha fornito quel passaggio mancante per risolvere il problema”, e garantire una partnership destinata ad espandersi in altre aree del mondo per assicurare “la produzione di terre rare raffinate in Europa e così migliorare la resilienza dell’industria europea”. Infatti, la domanda per questi metalli subirà una decisa impennata nel prossimo decennio, trainata dall’espansione delle rinnovabili e dell’elettronica in quella che gli esperti ormai definiscono come la quarta rivoluzione industriale. “Insieme, Energy Fuels, Neo e Chemours hanno creato con successo una filiera basata negli Stati Uniti e in Europa” ha dichiarato Mark S. Chalmers, presidente e amministratore delegato di Energy Fuels, una realtà “orgogliosa di aiutare a risolvere la sfida per i mercati americani ed europei”.
Si tratta di un primo e necessario passo per il reshoring di importanti stadi industriali legati alla trasformazione delle terre rare in valore aggiunto. Prodotte principalmente in Cina, negli ultimi anni si è assistito ad una graduale erosione del quasi-monopolio goduto da Pechino, su spinta tanto del mercato e quanto dalla necessità di una maggiore diversificazione delle forniture. Tuttavia, la creazione di nuovi siti d’estrazione non ha garantito di per sé maggiori capacità industriali in assenza di stadi di processazione e separazione, attualmente dominati dalla Repubblica popolare cinese.
Qualcosa si muove in questa direzione e l’annuncio di questo risultato si accoda alle recentissime dichiarazioni del presidente Joe Biden sulla volontà degli Stati Uniti di ricorrere a un maggiore scrutinio delle filiere industriali critiche e all’appello di Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, dell’insostenibilità dell’attuale dipendenza dalla Cina.
Una realtà ormai lampante, specialmente di fronte alle misure imposte dal governo centrale per un maggior controllo della supply chain domestica in Cina: una mossa che la scorsa settimana ha fatto pensare ad imminenti restrizioni sull’export, per ora scongiurate. L’iniziativa dell’amministrazione Biden e la notizia di questo accordo commerciale transatlantico in realtà puntano ad una maggiore diversificazione degli stadi più a valle della catena, ovvero dove rimane ancora forte la presa di Pechino: solo a dicembre, l’export di magneti dalla Cina agli Stati Uniti ha raggiunto il picco di 585 tonnellate, il valore più alto dal 2016.
Secondo le autorità cinesi, in risposta all’iniziativa statunitense come riporta Nikkei Asia, le misure sono state mal interpretate e i paesi dovrebbero collaborare maggiormente per incontrare la crescente domanda di terre rare. Quel che sembra chiaro, è che difficilmente si potrà ritornare allo status quo. La spinta del mercato, in una fase di intensa competizione geopolitica e tecnologica, non sembra poter mitigare la percezione dei policymaker europei e americani dei rischi lungo questa filiera strategica. Soprattutto se l’attivismo cinese in altri mercati, alimentato dalle ambizioni tecno-industriali di Pechino, continuerà a scuotere gli equilibri.