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Vaccino Made in Italy? Si può fare. Parola di Luca Pani (ex Dg Aifa)

Covid vaccino

L’Italia è pronta per il suo vaccino, assicura Luca Pani, ex direttore generale dell’Aifa e ordinario di Farmacología all’Universitá di Modena e Reggio Emilia. Partnership pubblico-private? Le uniche che funzionano in condizioni drammatiche come quelle attuali. Draghi? Con il nuovo governo c’è speranza che ci siano meno parole e più fatti

Nei giorni scorsi il presidente del Consiglio Mario Draghi ha condiviso il programma del governo per frenare la pandemia, anche alla luce dei ritardi registrati nella campagna vaccinale. Al centro della strategia, il reshoring dei vaccini, di cui hanno già ampiamente discusso il ministro dello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti e Farmindustria, dimostrando una nuova e più forte alleanza fra governo e imprese. Ma quali sono i prossimi step da compiere e quali gli errori da non ripetere? All’alba del primo incontro fra il Mise e il commissario Thierry Breton, responsabile della task force europea sui vaccini, Formiche.net ne ha parlato con Luca Pani, già direttore generale dell’Aifa e professore di Farmacologia e Psichiatria Clinica presso l’Università di Miami.

Si parla ormai da giorni dell’eventualità di produrre i vaccini anti-Covid anche in Italia, sperando di velocizzare la campagna vaccinale che ad oggi procede a rilento. Una strategia vincente?

Assolutamente si, andava fatto un anno fa e forse anche prima. Ma in Italia – ormai è tristemente noto – si aspettano le tragedie o le emergenze per mettere in atto, magari male e in fretta, strategie, riforme e investimenti che andrebbero pensati in condizioni di normalità e di ordinarietà. Potremmo disquisire a lungo sul perché questo accada, ma sarebbe un’altra intervista.

L’Italia è pronta, secondo lei? Il nostro Paese dispone delle strutture necessarie per una produzione vaccinale di questa portata? Un programma del genere, insomma, è davvero fattibile?

Non so quale sia il programma, quindi non posso commentare. Quello che ricordo è che quando come Aifa curammo gli aspetti tecnici del decreto legislativo del 19 febbraio 2014, n. 17, che attuava la direttiva 2011/62/UE, recante il codice comunitario relativo ai medicinali per uso umano, al fine di impedire l’ingresso di medicinali falsificati nella catena di fornitura legale, ponemmo una serie di “paletti” tecnologici che, dopo un iniziale momento di tensione, furono ben accolti dalla nostra industria farmaceutica nazionale. E devo dire che le aziende raccolsero la sfida sollevando il livello globale, già buono peraltro, della nostra produzione industriale.

Produzione che giudica come?

Guardi, le dico solo che quando in accordo con i compiti istituzionali dell’Aifa parlavo in occasione dei consessi internazionali. mettevo sempre in evidenza il valore del pharma Made in Italy, sottolineando come fossimo i migliori nella produzione di beni fondamentali come i farmaci. Cinque anni dopo siamo diventati i primi esportatori di prodotti farmaceutici in Europa. La Germania sta dietro di noi e non ho alcun dubbio che l’Italia, su questo, sia pronta.

Giancarlo Giorgetti e il presidente di Farmindustria Massimo Scaccabarozzi, alla guida di questa strategia, si sono incontrati ieri per la seconda volta per discutere del tema. Le tempistiche necessarie per le autorizzazioni, secondo quanto riportato dal Mise, vanno da quattro a sei mesi. Una previsione realistica?

Bisogna sapere con assoluta precisione quanti bioreattori ci sono a disposizione e in che stato di manutenzione e funzionamento sono in questo momento. Per le aziende che li possiedono e per l’Aifa che li ispeziona regolarmente basta una ricognizione rapida e in 48 ore possiamo sapere il reale stato dell’arte. Se i bioreattori non sono pronti chiavi in mano e certificati Gmp (Good manufacturing practice) mi pare obiettivamente ottimistico stare sotto i sei mesi dalla partenza del progetto alla produzione industriale su larga scala. Temo ci potrebbe volere quasi il doppio del tempo se dobbiamo – ad esempio – convertire la produzione.

Il nuovo governo nazionale e il ministro Giorgetti in particolar modo sembrano puntare molto sulla collaborazione fra governo e imprese, proponendo tra le altre cose un polo nazionale pubblico-privato. A meno di un mese dall’insediamento di Draghi si è fatto in tal senso molto di più di quanto non sia stato fatto dall’inizio della pandemia dal governo precedente. Quanto può essere importante, nella lotta contro il Covid, la partnership pubblico-privata e che ruolo può giocare, anche più nel lungo termine, per la produzione farmaceutica?

Non solo queste partnership sono auspicabili, ma sono anche le uniche che funzionano in condizioni drammatiche come quelle attuali. Basti pensare che Operation warp speed (Ows) è un partenariato pubblico-privato avviato dal governo degli Stati Uniti per facilitare e accelerare lo sviluppo, la produzione e la distribuzione di vaccini, prodotti terapeutici e diagnostici per il Covid-19. Pochi lo ricordano adesso, ma è stato un merito dell’amministrazione Trump lanciare questo programma il 15 maggio del 2020 e investire oltre dieci miliardi di dollari per riuscire a “produrre e consegnare 300 milioni di dosi entro gennaio 2021”. Non ci sono riusciti, avendo raggiunto in dieci settimane “solo” 78 milioni di dosi, ma questo dà sicuramente l’idea del tipo di ambizione e progettazione che bisogna introdurre.

Già dallo scoppio della pandemia la corsa al vaccino si è trasformata in un vero e proprio risiko. I Paesi che non hanno il vaccino diventano terreno di conquista per coloro che lo hanno, dando vita a una vera e propria forma di imperialismo sanitario. L’Europa sembra un po’ indietro, anche di fronte all’avanzata di Cina e Russia. Dove abbiamo sbagliato?

È da tempo che questa Europa non è competitiva su molti fronti, tra cui la ricerca e sviluppo di farmaci davvero innovativi. Ma al tempo stesso i singoli Stati membri, con qualche eccezione che confermerebbe la regola, lo sarebbero ancora di meno. Nello specifico abbiamo sbagliato a non essere rappresentati come continente e come singoli Paesi nel contesto europeo dai migliori di noi. Avremmo dovuto sostenere le aziende farmaceutiche per la ricerca e sviluppo di diversi candidati di vaccini diversificando il rischio e facendo dei poli nazionali e non nazionalistici di produzione europea. Avremmo dovuto sostenere l’organizzazione e facilitare la revisione simultanea da parte dell’Ema di studi clinici di fase I-III su diversi candidati vaccini più promettenti come ha fatto la Fda, invece abbiamo alcuni rappresentanti imbarazzanti.

L’Europa del resto è stata duramente criticata per come ha portato avanti le attività di contrattazione nella fornitura dei vaccini… Poteva essere evitato?

È quello che ho appena detto. Anche in questo caso ci volevano dei negoziatori professionisti che avevano dimostrato di saper gestire simili accordi davanti agli uffici legali delle aziende che, ovviamente, facevano i loro interessi. Evidentemente quelli che sono stati indicati dai Paesi europei (e io non so chi siano, quindi giudico solo in base ai risultati) non sono stati all’altezza. Non lo so, è facile rispondere seduti su una sedia mentre in quel momento, di questo sono certo, le pressioni a chiudere erano enormi. Forse, con il senno di poi, bisognava fare dei contratti più stringenti perché l’incertezza (dell’efficacia, della sicurezza, della fornitura) per il decisore pubblico significa negoziare in modo molto più conservativo non meno. Ovvero controlli di congruità a trenta e non a novanta giorni, penali e prezzi adattati alla quota reale non ipotetica di dosi rilasciate.

Covid-19. Iniziava tutto poco più di un anno fa e siamo ancora sotto scacco della pandemia. Come ci vede fra un anno?

Le do la stessa risposta che le diedi esattamente un anno fa, quando peraltro prevedemmo le varianti e le difficoltà di distribuire i vaccini su larga scala, vaccini che allora non sapevamo neppure ci sarebbe stati. Ma ero ottimista, mi fido della scienza. I dati sono chiari, per uscire da questo impasse dobbiamo agire e anche comunicare a livello istituzionale in modo più rigoroso e autorevole, come mi pare si stia facendo adesso. Dobbiamo tenere tutte le misure di distanziamento, le mascherine e l’igiene delle mani e soprattutto vaccinare in modo massivo stando molto attenti alla prossima illusione di massa.

Ovvero?

Che la primavera e l’estate stanno arrivando, per fortuna, e che questo, sgonfiando i numeri, farà ridurre la pressione politica a continuare questa guerra senza quartiere con la massima attenzione che merita. Con il precedente governo non avrei avuto dubbi su quello che sarebbe successo. Ma oggi, con il Primo ministro che ha nominato come commissario all’emergenza il generale Francesco Paolo Figliuolo, abbiamo qualche speranza che ci siano meno parole e più fatti degni di questo nome.


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