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L’ora del deficit e quella della crescita. Le prospettive italiane secondo De Romanis

Intervista all’economista e docente Luiss in vista dell’approvazione imminente del Def: giusto fare deficit adesso, ma domani servirà solo e soltanto crescita o finiremo travolti dal debito. Se il Recovery Plan italiano sarà un successo il piano di aiuti europeo potrà ripetersi. Il Patto di Stabilità? Non è morto

Stessa pandemia, stessa crisi e, più o meno, stessa cura. A un anno dal primo decreto dell’era Covid, c’era Giuseppe Conte premier, il governo di Mario Draghi non cambia la formula, in attesa di giocarsi il tutto per tutto sul Recovery Plan (data di consegna, 30 aprile). Questa settimana, al più tardi la prossima, vedrà la luce un nuovo decreto d’emergenza, il Sostegni-Bis, valore non meno di 35 miliardi raschiati dal bilancio pubblico. Ancora ristori, a imprese e partite Iva, farciti di qualche misura pro-ciclica in chiave crescita. Ma soprattutto, come detto, ancora extra-deficit, che arriva a 200 miliardi con l’ultimo provvedimento in gestazione.

Non può dunque stupire se il primo Documento di economia e finanza dell’era Draghi, sul tavolo del Cdm forse domani, fisserà l’asticella del disavanzo al 10% del Pil. E pensare che la Nota di aggiornamento al Def approvata in autunno fissava al 7% l’obiettivo per quest’anno. Ma da allora è cambiato tutto. Formiche.net ne ha parlato con l’economista e docente alla Luiss Veronica De Romanis.

De Romanis, è passato un anno ormai dal primo decreto pandemico. E oggi la formula sembra essere sempre la stessa. Aiuti, indennizzi, poca crescita. Cambiato poco o nulla?

Diciamo innanzitutto che queste misure di sostegno sono raccomandate dall’Europa, la quale ha espressamente chiesto di non ritirarle prima del dovuto. Però c’è anche un’altra indicazione e cioè che questa spesa sia temporanea e non permanente prima. Perché il rischio è che a pandemia finita, e prima o poi finirà questo supplizio, ci ritroviamo con deficit permanente e dunque debito permanente.

Allora è una soluzione buona ora, ma non domani.

Esatto. In questa fase qui è bene spendere. Però non a casaccio, bisogna selezionare, occorre spendere dove c’è davvero bisogno per stimolare la crescita.

Con questo decreto arriviamo a 200 miliardi di extra deficit. Secondo lei non è un problema?

In questo momento i tassi sono bassi e le regole fiscali dell’Ue sono state sospese e questo mix consente ad oggi un tale sforamento. Però il problema può esserci dopo: la stessa escape clause, che permette la sospensione del Patto di Stabilità, prevede la sostenibilità del debito nel medio termine. Sa cosa vuol dire? Che c’è un unico modo per rendere sostenibile il debito: crescere. Ho l’impressione che si parli troppo poco delle riforme e questo è un guaio.

Perché?

Perché quando la pandemia finirà, la Bce ricalibrerà la sua politica monetaria e le regole fiscali torneranno, magari semplificate ma torneranno. Senza la crescita noi dovremo tornare all’austerità. Non mi pare un buon programma.

Il Patto di Stabilità è sospeso, lo sappiamo. Ma c’è chi crede che certe regole così stringenti non torneranno più…

Facciamo attenzione. Il Patto di Stabilità è sospeso ma non è cancellato per sempre. Magari verrà riscritto, riformulato ma non cancellato. E non deve esserlo perché una unione fiscale ha bisogno di regole comuni. Considero un errore dire che è abolito per sempre, saranno sempre necessarie regole condivise per l’Unione. Magari diverse, ma pur sempre condivise.

Tra pochi giorni l’Italia dovrà inviare il Recovery Plan per ottenere l’approvazione di Bruxelles. In più le regole di bilancio seppur in forma diversa potrebbero tornare e con il nostro debito c’è poco da star sereni. Insomma, strada stretta.

Mettiamola così. In questo momento non c’è uno spazio politico per far diventare il Recovery Fund uno strumento permanente, lo ha detto anche il Commissario Gentiloni. Dunque ad oggi il Recovery Fund è una tantum. L’Italia deve fare attenzione e giocarsi bene questa opportunità, perché una eventuale ripetizione del piano di aiuti europeo dipende dal successo italiano. Se spenderemo bene i soldi e avremo successo allora l’esperimento potrà essere ripetuto. E quando dico di giocarsi bene la chance parlo di buona spesa, di raggiungimento degli obiettivi intermedi, di riforme ben disegnate e ben implementate. Se falliamo, l’Ue potrebbe interrompere gli aiuti e ogni possibilità di replicare il piano e di renderlo uno strumento permanente, svanirebbe.

Chiudiamo su Draghi. Nei giorni scorsi il premier ha rilanciato l’idea di emettere debito comunitario, l’eurobond. Fattibile?

Serve un consenso politico, il punto è crearlo. Il Recovery Fund è un inizio di condivisione del debito e dunque un embrione di eurobond. I tedeschi sono scettici, non perché non vogliano condividere il debito ma perché prima di condividere il rischio con un altro Paese, vogliono ridurlo. Insomma, prima si riduce il debito e poi lo si condivide. Dunque dobbiamo puntare sulla crescita e ridurre il debito.

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