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I vaccini, nuova clava geopolitica nei Balcani. L’Ue punisce tre Paesi

La questione della corsa al siero (se europeo, russo o cinese) riapre il dibattito sulle influenze esterne sul costone balcanico, dove la geopolitica legata al business e all’energia traina le nuove lotte tra i big player

In Serbia il 58% degli intervistati nell’analisi GLOBSEC Trends 2020 ha risposto che a gestire al meglio la crisi COVID-19 è stata la Cina, contro solo l’11% che hanno indicato l’UE. Un piccolo segno di come la percezione geopolitia stia mutando nel costone balcanico, accelerata al cubo dalla pandemia. Da tempo nei paesi dell’ex Jugoslavia si scontrano gli interessi di Pechino, Mosca, Washington, Ankara e Bruxelles.

In sostanza la questione della corsa al vaccino (se europeo, russo o cinese) riapre il dibattito sulle influenza esterne sul costone balcanico, dove la geopolitica legata al business e all’energia traina le nuove lotte tra i big players. Per cui interrogarsi (in chiave allargamento) sul punto in cui si trovano le relazioni tra Ue e Balcani può rivelarsi utile per calibrare le mosse future. La solidarietà tra i Balcani occidentali e Bruxelles è passata certamente dalla risposta europea alla crisi dei migranti del 2016, fino ad arrivare al caos vaccini.

IL CASO

Partiamo dall’ultimo capitolo della saga sui vaccini per il Covid. Austria, Slovenia e Repubblica Ceca sono state escluse dall’Ue per la fornitura di vaccini extra ai paesi membri più duramente colpiti, ponendo fine agli aspri negoziati che hanno provocato attriti tra i governi. Ben 24 stati membri hanno deciso di dare il via ad una sorta di meccanismo di “solidarietà” che fornirà 2,85 milioni di dosi aggiuntive di BioNTech / Pfizer a cinque Stati membri: Estonia, Lettonia, Croazia, Slovacchia e Bulgaria.

Va ricordato che Austria, Slovenia e Repubblica Ceca avevano provato a bloccare le proposte di ridistribuzione per protesta dopo aver cercato di ottenere una quota maggiore. L’episodio si inserisce in un periodo caratterizzato da alcune evidenti divergenze su come distribuire 10 milioni di dosi di vaccini già acquistate e soprattutto sui giudizi che stanno arrivando a Bruxelles per come la Commissione ha gestito i contratti con le aziende produttrici di vaccini. Ovvero appena il 27% degli anziani e il 47% dei lavoratori nel settore sanitario sono stati vaccinati; e poi il piano Ue ha sì garantito pari accesso ai 27, ma si è inceppato sulle differenze logistiche e produttive delle case farmaceutiche. Inoltre l’Oms boccia l’Ue: “Lentezza inaccettabile nella campagna di vaccinazione”.

CHI PUNTA AI BALCANI

I vaccini come clava geopolitica, dunque, ma prima delle fiale sono stati attivati migliaia di progetti in infrastrutture ed energia. Il caso Vienna infatti si inserisce anche all’interno di un quadro molto più complesso, che ha nei paesi che vanno dall’Albania fino appunto all’Austria un comune denominatore legato alle influenze di players esterni.

Si pensi alla portata religiosa della Turchia in tre paesi significativi come Albania, Bulgaria e Macedonia del Nord. Un approccio di stampo religioso che cela aspetti molto più complessi che riguardano il business e la geopolitica. Il governo bulgaro è preoccupato per quella che considera l’influenza potenzialmente radicalizzante della Turchia di Erdogan. A Tirana serpeggia il timore che gli interventi della Turchia fino ad oggi abbiano avuto come principale conseguenza l’ampliamento delle divisioni tra le varie fazioni islamiche del Paese. In Bosnia si registra il più aspro punto di tensione ideologica visto che, da un lato, la comunità serba vede in Putin un punto di riferimento, cosi come Erdogan lo è, dall’altro, per numerosi musulmani bosniaci. Il tutto produce un effetto pentola a pressione, con il rischio di nuove tensioni sociali che si fa sempre più evidente.

QUI PECHINO

Chi scommette di più e con più risultati sui Balcani (occidentali) è Pechino, diventato il terzo attore più importante nella macro regione. La Via della Seta ha tracciato una mappa già operativa nella mente della classe dirigente di Xi con un approccio comune. Ovvero spingere l’influenza cinese in aree chiave che servono al paese per posizionarsi come soggetto indispensabile. Infrastrutture, energia, ma anche cultura, media e politica sono i settori di intervento. Lo dimostrano alcuni esempi.

Nel 2019 l’ambasciata cinese a Tirana ha promosso due settimane di eventi e celebrazioni nella piazza principale della città, con festeggiamenti e mostre e nell’occasione l’ambasciatore cinese ha annunciato che la Cina finanzierà la costruzione di un nuovo terminal degli autobus. Gli Istituti Confucio sono stati interessati da una forte spinta che li ha trasformati in potenti bracci operativi che penetrano in territori e comunità, passando per una spiccata presenza sui media di Croazia, Serbia e Bulgaria e Croazia oltre che con l’attività online di China Radio International.

Non c’è solo Pireo nel cono cinese: dopo l’hub containers ellenico, Pechino si è spinta oltre intrecciando relazioni ed interessi con il nuovo terminal nel porto croato di Rijeka, con quello di Zara in Croazia tramite la società cinese Luxury Real Estate Company, oltre alla realizzazione di nuovi collegamenti ferroviari che altri paesi che si affacciano sulla costa orientale dell’Adriatico.

La strategia cinese è chiara: aiutare in vari modo i paesi fuori dall’orbita occidentale e poi ottenere un bonus di influenze, così come fatto in Africa.

UE E USA

La reazione euroatlantica si ritrova nelle parole del segretario di Stato americano Blinken che certificano uno status quo: “Le ambizioni militari di Pechino – ha detto in occasione del recente vertice dei ministri degli esteri della NATO – crescono di anno in anno. Insieme alle realtà della tecnologia moderna, le sfide che una volta sembravano lontane mezzo mondo non sono più remote. Lo vediamo anche nelle nuove capacità e strategie militari che la Russia ha sviluppato per sfidare le nostre alleanze e minare l’ordine basato su regole che garantisce la nostra sicurezza collettiva”.

twitter@FDepalo

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