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Libia, la partita della stabilizzazione vista dall’Italia

Il ruolo dell’Italia in Libia è solido. Ci sono diverse partite aperte, aspetti politici e tecnici legati anche al business, da trattare. Ecco come Roma assiste il governo Dabaiba nel traghettare il Paese verso una stabilità da consolidare con le elezioni di dicembre (secondo piano Onu)

L’Italia guarda alla Libia con “realismo fiducioso”, è così che ambienti diplomatici definiscono quanto sta accadendo sulla sponda nordafricana del nostro interesse nazionale. L’avvenuto sblocco dello stallo istituzionale è frutto anche del cessate il fuoco dello scorso ottobre. Passaggio che ha permesso l’investitura ricevuta da Abdelhamid Dabaiba come primo ministro designato da un organismo ad hoc creato dalle Nazioni Unite (il Foro di dialogo libico che lo ha eletto) e confermata dal voto di fiducia unanime della Camera di Rappresentanti (che non lo aveva mai concesso al precedente governo di accordo nazionale) con l’obiettivo di guidare il Paese fino alle elezioni del 24 dicembre per consolidare la stabilizzazione del Paese.

Sul piano politico interno, in Libia è in corso il dibattito sulla legge elettorale e le basi costituzionali. Ma nel frattempo, il compito di Dabaiba è quello di utilizzare al meglio l’allineamento di consenso da parte di gran parte degli attori politici libici e uno scenario interno ed internazionale sensibilmente mutato, che ha un impatto anche per le interferenze esterne.

Ed è qui, mentre tacciono le armi e riparte il dialogo, che l’Italia si fa avanti: “La ripresa e il rilancio di tutto il sistema delle relazioni bilaterali è una scelta politica strutturante della cooperazione italiana con la Libia, contrariamente alla presenza militare straniera, che nel medio periodo Roma ritiene non sia sostenibile”, dicono fonti diplomatiche. Per Roma l’esecutivo Dabaiba deve aver modo di esercitare in forma propria e libera la sovranità nazionale, e in questo il governo italiano intende accompagnare la Libia assieme alla comunità nazionale che sostiene la transizione libica.

Il governo di unità nazionale libico è impegnato nella predisposizione ed attuazione del bilancio nazionale unificato (il primo dopo molti anni), puntando all’approvazione parlamentare. Un percorso non agevole, ma che dovrebbe portare esiti positivi: il bilancio, che si aggira attorno ai 22 miliardi di dollari, dovrà essere definito dopo gli audit della Banca centrale anch’essa riunificata, contando anche sui proventi petroliferi versati dalla compagnia libica Noc. Rilevante è inoltre il tema dello scongelamento dei portafogli del fondo di investimento sovrano Lia (contenitore del tesoro libico ancora sotto sanzioni Onu).

C’è poi un’altra questione – di cui si discute in Libia — che riguarda la possibilità per Dabaiba di prospettare riforme e investimenti a medio-lungo termine, data la natura transitoria del governo, come detto creato in vista di un esecutivo con una piena investitura parlamentare. L’aspetto del bilancio e della capacità di muovere investimenti dell’attuale governo è centrale per il futuro del Paese.

Cosa ben diversa sono gli ambiziosi memorandum d’intesa, in gran parte programmatici, che la Turchia ha recentemente firmato con Tripoli. Un esempio è la menzione di un nuovo e futuribile aeroporto internazionale che la Turchia intenderebbe costruire per creare in teoria un importante hub nordafricano – progetto molto altisonante ma che attende di vedere effettive conferme da parte libica, sia per gli aspetti di priorità che finanziari. Molto più concreta, invece, la prospettiva della ricostruzione dell’aeroporto di Tripoli da parte del consorzio italiano “Aeneas”, che è già titolare di un contratto di ristrutturazione (lo scalo è finito sotto le bombe nei mesi dell’ultima guerra).

Sulla sicurezza ci sono aspetti di “discussione tecnica”, spiegano le fonti diplomatiche, che investono anche i progetti di cui Roma sta parlando con Tripoli. Resta da portare a termine, ad esempio, la piena attuazione del cessate il fuoco — come lo scioglimento delle milizie, l’uscita dal paese delle truppe straniere, la partenza di tutti i mercenari, la riunificazione delle istituzioni militari e di polizia sotto un’unica catena di comando. Tema delicato per le resistenze interne ed esterne, con conseguenze anche per gli aspetti pratici.

Per esempio, la maggior parte dei ministeri degli Esteri occidentali mantengono il cosiddetto “sconsiglio” (proprio per ragioni di sicurezza) sui viaggi in Libia, aspetto che complica il business. Un caso concreto è quello dell’autostrada costiera Est-Ovest, progetto affidato ad imprese italiane, per il quale però serve un piano di sicurezza, un piano logistico per inviare e gestire materiali come cemento e acciaio, e serve anche lo sminamento (e qui l’Italia ha avuto un ruolo attraverso unità militari specializzate).

Ecco il tema del Sistema-Paese, in cui business e istituzioni lavorano insieme, con la società civile e la people-to-people diplomacy e rapporti come quello che si sta strutturando tra Anci e le municipalità libiche, che è uno scambio importate anche dal punto di vista culturale.

L’Italia rivendica un approccio sistemico, ossia senza limitarsi a “prismi tematici” (petrolio, immigrazione, terrorismo) sebbene importanti, e immaginando prospettive più ampie. Per esempio, sia i ministeri che Eni dialogano con Tripoli sul tema della transizione energetica (partita in cui si muove anche Saipem), ma anche della applicazione di un accordo sull’ammodernamento del sistema sanitario sottoscritto nel corso della visita del premier Mario Draghi a Tripoli pensando alla “sicurezza umana”; o ancora la digitalizzazione e le telecomunicazioni.

In programma anche un business forum con Tripoli, mentre entro poche settimane verrà riattivata l’operatività del consolato di Bengasi (i cui lavori erano stati soltanto sospesi durante la fase acuta del conflitto interno) e in previsione c’è l’apertura di un consolato onorario nel Fezzan, a Sebha.

Dopo i primi incontri con le tre visite a Tripoli del ministro Luigi Di Maio, di cui l’ultima con il presidente del Consiglio, nonché dopo i contatti Roma-Washington anche sul dossier libico  – nelle prossime settimane è atteso a Roma anche Richard Nordland, ambasciatore statunitense in Libia, come ha annunciato Thomas Smitham, incaricato d’affari ad interim presso l’ambasciata degli Stati Uniti d’America in Italia – ci sarà il vertice del 22 aprile, quando alla Farnesina sarà ospite la ministra degli Esteri libica Najla Mohamed El Mangoush. Un meeting in cui l’Italia continuerà a mettere a punto i contesti istituzionali ed i termini operativi delle relazioni economiche bilaterali. Ciò servirà anche a rimuovere eventuali ostacoli per un’efficace e fruttuosa presenza del sistema imprenditoriale italiano in Libia.

In quest’ottica l’Italia può contare sul Trattato di Amicizia, firmato nel 2008, con una serie di impegni bilaterali importanti, e che torna ad essere la base negoziale per il riavvio dei contratti stretti e delle relazioni future. Molti imprenditori italiani stanno chiedendo la riattivazione delle commesse sospese e il riavvio dei contratti interrotti. La Farnesina incoraggia e sostiene tutte le attività preliminari, ma precisa anche che non è tutto così immediato, anche se occorre essere pronti sin d’ora e mirare a riprendere immediatamente l’interscambio economico quando auspicabilmente nei prossimi mesi il quadro politico-istituzionale e di sicurezza si sarà ulteriormente stabilizzato.

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