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Il tech europeo chiuderà le porte alla Cina se Pechino non abbatte la muraglia

Bruxelles sta pensando di escludere Pechino dai progetti di ricerca più critici per mancata reciprocità. Il problema è che anche gli alleati potrebbero trovarsi tagliati fuori per eccesso di protezionismo

A lato dell’accordo commerciale Ue-Cina (il CAI) ancora al vaglio dei 27, le due potenze stanno contrattando sulla collaborazione in ambito ricerca. La ritrosia da parte cinese su alcuni temi starebbe portando l’Europa a ripensare la cooperazione sulle aree più delicate, come tecnologia quantistica, 5G e intelligenza artificiale, riporta Politico. Il rischio, però, è quello di tagliare fuori collaboratori affidabili come Regno Unito e Israele.

I negoziati Ue-Cina vanno avanti dal 2019 con l’obiettivo di potenziare la cooperazione bilaterale, esistente solo nelle aree di forte interesse condiviso come la sicurezza alimentare. Al momento Bruxelles sta pressando Pechino affinché approvi una serie di condizioni su level playing field, proprietà intellettuale, mobilità dei ricercatori, accesso ai finanziamenti e reciprocità. Ma la riluttanza cinese nel discutere di questi temi sta portando l’Europa a considerare di “limitare la cooperazione ai settori dove pensa di poter cooperare in sicurezza”, nelle parole di un alto funzionario Ue sentito da Politico.

Per Bruxelles non si tratta di protezionismo, ma equilibrio. “Essenzialmente, c’è pieno accesso all’Europa e accesso molto difficile e formalmente limitato alla Cina” ha detto Jean-Eric Paquet, il direttore generale di ricerca e innovazione dell’Ue, in un evento a settembre. Il funzionario ha poi aggiunto che Pechino sembra disposta a collaborare nelle aree in cui Bruxelles è leader, ma appare molto più riluttante a farlo in quelle in cui la Cina inizia a eccellere.

L’idea della Commissione, dunque, è di escludere il Dragone dalle aree particolarmente delicate, come per esempio la gara per creare il primo computer quantistico funzionante – capace di “rompere” anche la crittografia più avanzata e ridefinire le capacità tecniche di qualsiasi nazione. Chiaro, dunque, che non si possa compromettere sulla proprietà intellettuale in questo ambito (anche perché la Cina, che sta versando miliardi nel proprio programma quantistico, non condivide certo i suoi dati).

Però esiste il rischio di esagerare. Data la sensibilità dei progetti tech in questione il Commissario al mercato interno Thierry Breton starebbe addirittura spingendo per escludere tutte le nazioni non-Ue dalla ricerca quantistica. Ne conseguirebbe che anche collaboratori di lungo corso come Regno Unito, Svizzera e Israele verrebbero messi alla porta e deprivati dei fondi europei.

Il piano di Breton ha incontrato la ferma opposizione di diversi Paesi (tra cui Italia, Germania e Spagna) venerdì scorso; i diplomatici hanno fatto notare che mettere gli alleati nello stesso spettro di Cina e Iran danneggerebbe le “fruttuose collaborazioni” dell’Ue. La Commissione ha fatto sapere che qualsiasi misura in tal senso, da usare solo in casi “eccezionali”, sarebbe stata comunque sottoposta ai 27.

Per l’Europa si tratta di trovare il sottile confine tra eccessivo protezionismo ed eccessiva apertura, o semplicemente convenire sul significato della tanto decantata “autonomia strategica”. Misurandosi, al contempo, con la divisione del mondo in due blocchi tecnologici informati rispettivamente dalla dottrina autarchica e quella democratica.

Come scrivevamo su Formiche.net, si sta profilando una competizione tra tecnoregimi e tecnodemocrazie. E “l’elezione di Biden offre alle due sponde dell’atlantico una grande opportunità per costruire il futuro delle democrazie liberali occidentali e delle loro economie nella tecnosfera”, come hanno scritto Cerra e Boccardelli su queste colonne.

Il sentore in Europa è che la scelta su come trattare Paesi alleati, concorrenti e ricerca sia evidente. Diversi leader europei hanno segnalato alla Commissione che “la competitività dell’Europa dovrebbe essere costruita su un uso dei dati efficiente, affidabile, trasparente, sicuro e responsabile in conformità con i nostri valori condivisi”, e dunque si dovrebbe “cooperare con gli attori internazionali”. Il sentiero sembra già tracciato; palla alla Commissione.

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