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Ucraina, Putin scopre il bluff e ritira le truppe dal confine

Mosca ordina il ritiro delle truppe dal confine ucraino e spiega che la missione è compiuta, le Forze armate russe hanno dimostrato di essere pronte per essere schierate davanti a qualsiasi minaccia (Nato). Putin ha mostrato i muscoli e testato la volontà di coinvolgimento di Europa e Stati Uniti

La Russia ha iniziato oggi, venerdì 23 aprile, il ritiro delle unità militari dal confine ucraino (durerà più di una settimana). Circa 120mila uomini, centinaia di mezzi, stanno rientrando nelle loro caserme dopo che il dispiegamento davanti al Donbas — la regione dell’Ucraina orientale dove i separatisti filo-russi combattono dal 2014 contro il governo di Kiev — aveva alzato il livello di tensione. Culmine, una telefonata tra Joe Biden e Vladimir Putin, in cui il primo aveva chiesto una de-escalation e proposto un incontro per parlare della vasta gamma di divergenze Washington-Mosca a cui il Cremlino ha risposto picche. In mezzo, tra l’accumulo e il ritiro dei militari russi, episodi da guerra di spie e un discorso aggressivo in cui Putin ha indicato linee rosse che l’Occidente non deve superare — e tra queste c’è l’inclusione dell’Ucraina nella Nato, che Mosca considera un accerchiamento non sostenibile.

“Credo che gli obiettivi dell’esercitazione siano stati pienamente raggiunti. Le truppe hanno dimostrato la loro capacità di fornire una difesa affidabile del Paese. A questo proposito, ho deciso di completare le ispezioni nei distretti militari meridionali e occidentali”, ha detto il ministro della Difesa commentando il ritiro e dimostrando le priorità di Mosca. Il ministro ha anche ordinato che le armi pesanti restino sul posto, a circa 160 chilometri a est del confine, per essere pronti a rispondere rapidamente in caso di uno “sviluppo sfavorevole” della situazione durante le esercitazioni Nato “Defender Europe”, specifica l’agenzia stampa statale Interfax. Alcune truppe rimarranno a Pogonovo, vicino Voronezh, fino a settembre, quando si terrà l’esercitazione militare “Zapad-2021”. Come dire che la questione non è finita, restano le problematiche percepite dalla Russia; restano le sensibilità interne che innescano certe prove di forza; resta il rischio che un errore di calcolo apra a situazioni più ampie e complesse.

Per la Russia, l’avvicinarsi dei confini dell’alleanza è da sempre fattore che crea una sindrome di accerchiamento, ricordava su Formiche.net Piero Fassino, ma il presidente della Commissione Esteri della Camera aveva anche una forma di soluzione: “Quando l’Ue e la Nato decisero di allargarsi all’Europa centrale e ai baltici, la Russia mostro da subito la sua ostilità. Non accettammo quel veto, ma all’adesione dei Paesi dell’Est a Nato e Ue affiancammo il primo accordo di partenariato fra Ue e Russia. A dimostrazione che l’allargamento delle istituzioni euro-atlantiche non era concepito per minacciare la Russia”. Quello dell’adesione ucraina alla Nato è un grande tema che riguarderà anche (e soprattutto) il summit convocato il 14 giugno (con Biden che arriverà per la prima volta in Europa). Argomento di discussione su cui il direttore del Kennan Institute del Wilson Center, Matthew Rojansky, sostiene che comunque “la strada è in salita”.

La fine dei movimenti al confine ucraino è formalmente legata alla fine delle esercitazioni convocate dal ministero della Difesa russo, e conferma che la mossa non era un atto di guerra — il riavvio di un sostentamento massiccio delle azioni nel Donbas (che continua da sette anni, seppure a intensità più bassa) — ma, come spiegato su queste colonne da Eleonora Tafuro Ambrosetti (Ispi), un modo per mostrare i muscoli e testare il livello di coinvolgimento che Biden avrebbe accettato per proteggere l’Ucraina (e quanto questo sarebbe stato percepito a Washington come un coinvolgimento sulla protezione delle libertà democratiche). Quello che si è verificato è il secondo dei tre scenari che l’ex comandante supremo della Nato Philip Breedlove teorizzava dietro le ragioni dello spostamento di forze russe — gli altri due riguardavano un’improbabile invasione (un’azione magari per rinsaldare la propria autorità domestica, come ipotizzava Paolo Alli valutando le complessità dietro al controllo di Putin sulla Russia), e un piano per assicurarsi il rifornimento idrico della Crimea (la penisola che la Russia ha annesso nel 2014).

Un attacco armato “non è l’ipotesi più probabile ma neanche remota. Siamo di fronte alla più grave crisi geopolitica dell’Europa dalla fine della Guerra Fredda”, spiegava Ian Lesser (GMF). Crisi che resta in piedi per buona parte. Anche Standard & Poor’s scommetteva contro l’invasione: tra Putin e Kiev c’è il gas, e le sanzioni Usa sul gasdotto Nord Stream II sono un elemento per far cambiare idea al Cremlino, spiegava Francesco Bechis attraverso un’analisi che citava i dati diffusi il 19 aprile dal banditore d’aste Rbp riguardo all’acquisto del gas ucraino da parte di Mosca. Non  subendo battute d’arresto, tutto faceva pensare che — procedendo il business — non ci sarebbe stata guerra. Ma è anche vero che Putin è un leader non può forte come un tempo, e attività esterne sono un ottimo modo per distrarre l’opinione pubblica (anche da manifestazioni come quelle pro-Navalny convocate in varie parti del paese mentre il presidente pronunciava a media unificati il suo discorso annuale).


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