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La trappola del debito cinese colpisce ancora. Dopo l’Africa, l’Asia

I prestiti opachi e con clausole trabocchetto stanno mietendo vittime (in termini finanziari e politici). Il Kenya costretto a ipotecare il 30% del debito sovrano, mentre il Laos cede la sua rete elettrica nazionale ottenendo robusti finanziamenti da Pechino. Ed è proprio quello il problema…

Potente con i più deboli, decisamente più mansueta con i più forti. La Cina continua la sua politica tutta muscoli e aggressività verso i Paesi in via di sviluppo, ad alto debito sovrano. Qualcosa di ben noto ai governi africani, come raccontato a più riprese da Formiche.net, finiti nella morsa del Dragone in seguito alla sottoscrizione di prestiti dalle mille trappole e dalle clausole opache. E alla fine, la tagliola scatta.

In Africa è successo con il Kenya, Paese fortemente indebitato con Pechino, che nell’ex colonia inglese sta realizzando alcuni progetti legati alla via della Seta africana. In forza dei finanziamenti concessi al governo di Nairobi dalle banche cinesi, il 30% della spesa pubblica kenyota accantonata per sostenere il debito sovrano del Paese verso tutti i creditori esteri verrà direttamente girata a Pechino, a titolo di rimborso parziale del debito contratto.

Tra i diversi coni d’ombra dei prestiti cinesi concessi alle economie fragili per finanziare le proprie infrastrutture c’è infatti la clausola che prevede lo sganciamento del finanziamento da qualunque operazione di ristrutturazione messa in atto. Vale a dire, se un Paese deve rinegoziare parte del proprio debito sovrano con i creditori, il prestito concesso da Pechino non può essere incluso nell’operazione e dunque è pressoché impossibile ridurne, per esempio, il tasso.

Una vera a propria trappola, che limita ed erode la sovranità e che non ha caso sta creando una vera e propria crisi tra le economie del continente e l’ex Celeste Impero, già alle prese con l’improvviso altolà dell’Australia, che una concessione dopo l’altra sta voltando le spalle a Pechino (qui l’articolo di ieri con tutti i dettagli).

Adesso sembra essere arrivato il turno del Laos, Paese del sud-est asiatico. Il quale ha recentemente firmato un accordo di concessione di 25 anni che consente a una società cinese di controllare la propria rete elettrica nazionale, comprese le esportazioni di elettricità nei Paesi vicini. Questo, hanno scritto numerosi media asiatici, espone come non mai il Laos ai voleri cinesi. Anche perché, e questo è il punto, collateralmente alla presa in gestione della rete elettrica nazionale, Pechino ha erogato alcuni finanziamenti al Laos, per sviluppare la rete stessa.

Un problema se la natura opaca dei prestiti si manifestasse anche nel piccolo Stato dell’Asia, visto che la rete, complici le implicazioni nelle risorse idriche nazionali (energia idroelettrica) rappresenta oltre i quattro quinti della produzione totale di elettricità del Paese. “Tutto ciò”, spiega una fonte vicina al dossier, “mostra che Pechino continua a usare il debito come parte della sua strategia per espandere la sua presenza economica, politica e militare all’estero”.

Senza considerare, che ogni finanziamento, dal 2014, prevede una clausola di riservatezza che obbliga il Paese mutuatario a mantenere riservati i  termini e persino l’esistenza del prestito stesso, violando il principio secondo cui il debito pubblico dovrebbe essere appunto pubblico e non nascosto ai contribuenti. Una trappola in cui è caduto anche lo Sri Lanka, che ha trasferito il porto di Hambantota, insieme a oltre 6 mila ettari di terreno intorno, a Pechino con un contratto di locazione di 99 anni.



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