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Lo yuan digitale è un problema. E non solo per gli Usa

Daniel Brody, economista a capo del Centre for Financial Regulation and Innovation dell’Università di Strathclyde, in Scozia, svela i veri rischi per il dollaro americano qualora Pechino arrivasse prima degli altri a emettere una valuta sovrana virtuale. E nel mirino c’è anche l’Ue

A Washington fanno bene a temere l’avvento dello yuan digitale, se non altro per le ripercussioni, non certo banali, che la valuta virtuale cinese potrebbe avere sugli equilibri monetari globali, oggi basati sul dollaro americano. Per gli Stati Uniti la rincorsa allo e-yuan, la Cina in questi giorni ha arruolato anche Alibaba nella squadra delle future piattaforme idonee alla moneta virtuale, può significare la perdita della centralità del biglietto verde nei flussi di pagamento elettronici mondiali. Di questo è più che convinto Daniel Brody, a capo del Centre for Financial Regulation and Innovation dell’Università di Strathclyde, in Scozia, autore di un’analisi dedicata alla rincorsa di Ue, Usa e Cina alle valute virtuali.

Bisogna fare una premessa. Lo yuan digitale è una versione della normale valuta cinese ma distribuita su una blockchain, che è la tecnologia di registro online a prova di manomissione alla base delle monete digitali come bitcoin ed ethereum. Tuttavia, questa moneta è “autorizzata”, il che significa che la Banca popolare decide chi può usarla e chi no. Dunque, lo yuan virtuale ha già lo status di moneta a corso legale. E in scia alla Cina c’è l’Europa, che con la task force in seno alla Bce coordinata da Fabio Panetta lavora alla creazione di un euro digitale parallelo al contante entro tre o quattro anni al massimo. Ovviamente gli Usa non possono non prendere contromisure. Il perché lo spiega lo stesso Brody.

“Il pericolo maggiore relativo allo yuan digitale riguarda i pagamenti internazionali. La maggior parte delle transazioni globali tra valute diverse attualmente utilizza il dollaro Usa come riferimento”, scrive l’esperto. Questo Perché il Paese più economicamente più forte, gli Stati Uniti, impone oggi la sua valuta come parametro per misurare il valore delle altre monete, con un tasso di copertura sulle transazioni nel mondo pari all’87%. Merito dell’attuale meccanismo in uso, denominato Swift, il più grande sistema internazionale per il trasferimento di informazioni e l’effettuazione di pagamenti tra banche, il quale coinvolge oltre 11 mila tra le principali organizzazioni in circa 200 Paesi.

Ora, la supremazia sui pagamenti “significa una notevole domanda globale per il dollaro americano, il che consente al governo degli Stati Uniti di prendere in prestito denaro e a buon mercato. Perché più il dollaro è centrale nelle politiche monetarie, transazioni incluse, più aumenta il potere contrattuale degli Stati Uniti sui mercati che prestano denaro a Washington”, scrive Brody.

Problema: le transazioni che utilizzano lo yuan digitale non avranno bisogno di Swift e dunque del dollaro come riferimento, questo perché la valuta avrà come parametro se stessa, almeno nei piani di Pechino. “Ben 120 Paesi hanno oggi la Cina come principale partner commerciale ed è lecito chiedersi se tali Paesi si adegueranno ai desiderata cinesi. Se decideranno di scambiare in yuan, potranno fare a meno del dollaro in veste di benchmark. La Cina da parte sua, afferma di non stare cercando di sostituire il dollaro con lo yuan digitale e che l’obiettivo è consentire al mercato di scegliere come regolare le transazioni internazionali”, mette in chiaro l’economista. A tutti gli effetti, insomma, si prospetta una vera e propria guerra valutaria: più Paesi accetteranno di pagare beni e servizi con lo yuan virtuale più il dollaro perderà forza.

Non è tutto. C’è una seconda minaccia, che forse più che gli Stati Uniti, che quasi certamente arriveranno al dollaro digitale, riguarda l’Europa. “Le banche centrali dei Paesi che non riescono ad abbracciare le valute digitali potrebbero perdere il controllo sulla politica monetaria a causa delle criptovalute, che si tratti di iniziative decentralizzate come bitcoin o centralizzate come l’ imminente valuta Diem di Facebook . In altre parole, se queste monete non sovrane diventassero ampiamente utilizzate per scopi di pagamento, le banche centrali troveranno più difficile gestire le loro economie fissando i tassi di interesse o modificando l’offerta di moneta, a meno che non siano provviste di moneta sovrana ma digitale”.

Conclusione: “vista la posta in gioco, è fondamentale che gli Stati Uniti, l’Ue e il Regno Unito inizino a testare con urgenza le proprie valute digitali. I rischi di essere lasciati indietro sono troppo grandi per essere ignorati”.

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