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Lo yuan digitale è una minaccia per le imprese europee e americane

Il dollaro ha tutte le difese naturali per resistere all’avvento della valuta virtuale cinese. Ma le aziende americane qualora accettassero pagamenti e transazioni in valuta virtuale finirebbero sorvegliate speciali. L’opinione di Yaya Fanusie, ex analista della Cia e oggi senior fellow presso il Center for a New American Security (Cnas)

Se qualcuno ha paura che l’avvento dello yuan digitale possa trasformarsi in un colpo micidiale alla sovranità del dollaro americano nell’ambito delle transazioni commerciali globali, forse non conosce la seconda parte della storia. Quella cioè raccontata da Yaya Fanusie, ex analista della Cia e oggi senior fellow presso il e Center for a New American Security (Cnas) nel corso di un evento organizzato dall’Atlantic Council, dedicato proprio alla valuta virtuale cinese.

“Quando la Cina ha iniziato a testare il suo nuovo yuan digitale, molti osservatori temevano che la valuta digitale emessa dalla Banca centrale rappresentasse una minaccia per il ruolo del dollaro Usa come valuta di riserva mondiale e mezzo di scambio preferito. Ma la vera minaccia potrebbe essere per il settore privato americano”, ha spiegato l’esperto americano. Se c’è qualcuno che deve preoccuparsi, insomma, non è tanto il Tesoro americano ma gli imprenditori al di là dell’Atlantico. E il perché è presto spiegato.

“Le imprese occidentali, e dunque anche americane, che per fare affari in Cina saranno costrette ad accettare scambi e pagamenti in valuta virtuale dovranno anche prendere in seria considerazione che il governo terrà sotto controllo i loro flussi di denaro. Perché, inutile nasconderlo, tra le varie implicazioni dello yuan digitale c’è anche quella di controllare le transazioni e i pagamenti”, ha messo in chiaro Fanusie.  E c’è poca scelta. “Se al contrario le medesime aziende decidessero di non accettare lo yuan virtuale, volendo difendere la propria privacy, allora avrebbero seri problemi con Pechino e con ogni probabilità verrebbero estromesse dal mercato. Vale su tutti il caso di Ericsson, finita nel mirino della autorità cinesi dopo essersi rifiutata di utilizzare tecnologia Huawei.

La conclusione dell’esperto ed ex funzionario Cia è chiara. “La Cina non sta cercando di superare la concorrenza e la supremazia del dollaro, bensì di costruire un’infrastruttura monetaria alternativa per mettere sotto controllo il sistema industriale, ovvero le imprese. Pechino ha posto le basi per una futura innovazione che renderà la Cina il centro dell’economia globale, più o meno allo stesso modo in cui lo sono diventati gli Stati Uniti negli anni Novanta, su Internet”.

Sulla stessa linea di Fanusie, anche Mark Sobel, ex funzionario del Tesoro Usa e oggi in forza al Center for Strategic e International Studies. “I politici statunitensi non dovrebbero prendere lo yuan digitale come una minaccia, perché il ruolo del dollaro Usa nell’economia globale è stato deciso dal mercato ed è alla stregua di un testamento. L’obiettivo non è tanto monetario, quando quello di mantenere uno stretto controllo dell’economia”. Al punto che “Gli Stati Uniti forse non hanno bisogno di un dollaro digitale. La vera sfida sono il controllo e la trasparenza dei pagamenti. Gli Usa dovrebbero difendere il loro sistema di pagamento e non la loro moneta, che ha già le difese necessarie, quelle fornite dalla storia che fa del dollaro il baricentro del mondo. E nessuno può mettere in discussione questo”. Washington può stare tranquilla. Le imprese americane un po’ meno.

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