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Perché il golpe in Mali preoccupa il Sahel

Caos in Mali. Presidente e primo ministro arrestati dai militari in una fase delicatissima per il Sahel dove le questioni securitarie profonde si sommano a certe dinamiche politiche, spiega Camillo Casola, ricercatore dell’Africa Programme dell’Ispi

Il presidente maliano, Bah N’Daw, e il primo ministro, Moctar Ouane, sono stati arrestati da alcuni militari “ammutinati” e portati nella struttura militare di Kati, città-guarnigione militare a quindici chilometri dalla capitale Bamako. Non è chiaro ancora quanti siano gli uomini coinvolti nell’operazione — uomini che a quanto pare sono collegati a colonnello Assimi Goita, attuale vicepresidente che è l’uomo forte nel Paese. Ossia, non è ancora definito quanto sia consistente questo colpo di Stato che segue di meno di un anno un precedente.

Nell’agosto dello scorso anno, una giunta militare – che faceva base proprio a Kati, centro di gravità dei militari dove l’allora presidente eletto Ibrahim Boubacar Keïta era stato portato con la forza dai colonnelli golpisti per annunciare le sue dimissioni – aveva preso il controllo del Paese per poi accettare la consegna del potere, a settembre, nelle mani di un governo di transizione civile. Il Paese, che soffre importanti difficoltà economiche e problemi di sicurezza legati alla diffusione di gruppi jihadisti, dovrebbe andare al voto il prossimo febbraio. I generali avevano preso il potere sulla scia di proteste popolari che contestavano come non corretto i risultati delle elezioni legislative.

Poche ore prima dell’arresto dei due leader istituzionali, era stata annunciata la composizione di un nuovo esecutivo frutto delle dimissioni di Ouane – accettate dal presidente per subito riaffidargli un nuovo incarico. Dalla nuova squadra di governo sarebbero stati esclusi due ex membri — il ministro della Sicurezza Interna Modibo Kone e il ministro della Difesa Sadio Camera — della giunta militare responsabile del golpe dello scorso anno (su cui, val la pena ricordare, c’erano speculazioni riguardo coinvolgimenti esterni). L’influenza dei militari nel meccanismo di transizione è altissima, e già da una decina di giorni la situazione era diventa critica, spiega Camillo Casola, ricercatore dell’Africa Programme dell’Ispi.

“Kone e Camera – continua Casola commentando quando sta accadendo con Formiche.net – di fatto venivano sostituiti da altri militari, ma loro due sono considerati figure molto centrali: la rimozione dà il segnale di qualcosa di già noto, ossia che le gerarchie militari in Mali non sono tutte sulla stessa lunghezza d’onda e i golpisti potrebbero aver avvertito un ridimensionamento della loro influenza. Mentre invece vogliono avere un peso preponderante sulle dinamiche del Paese”.

Secondo Casola, la situazione maliana è nella fase più complessa dal 2012, contesto che si somma a un quadro regionale delicatissimo, con la crisi istituzionale in Mali che arriva a poche settimane da quella in Ciad, dove dopo l’uccisione del presidente Idriss Déby — da parte di un gruppo ribelle che si è mosso dalla Libia – il potere è stato preso dal figlio e dai militari, sostituendo di fatto l’ordinato processo democratico che avrebbe richiesto nuove presidenziali. “Déby era il principale alleato della Francia e dell’Occidente nella complicata stabilizzazione del Sahel – ricorda Casola – dove invece vediamo un quadro profondamente critico legato anche alla presenza pervasiva di insorgenze jihadiste tra Mali, Niger e Burkina Faso”.

Il 2020 è stato l’anno con il maggior numero di attacchi dall’inizio della crisi del 2012 (innescata da una ribellione Tuareg e dall’occupazione jihadista del Nord del Mali, liberato in seguito dall’intervento militare francese che si è poi stabilizzato in un’operazione militare da allora permanente e via via implementata). “Il deterioramento della sicurezza nella regione — continua Casola — è progressivo. E combinando le dinamiche è evidente che crisi politiche come quelle in corso in Mali o Ciad potrebbero avere conseguenze e impatto sulla risposta alle problematiche securitarie. Sebbene è anche vero che governi di forma autoritaria o semi-autoritaria sono allo stesso modo causa di instabilità che possono porre le condizioni per l’aggravamento di insorgenze jihadiste”.

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