Il capo della diplomazia iraniana, figura di spicco dei pragmatico-riformisti iraniani, passa da Roma durante un tour europeo. Incontri col ministro Di Maio in un momento in cui l’Italia può ambire a un ruolo dopo la ricomposizione del Jcpoa, spiega Perteghella (Ispi)
Il ministro degli Esteri iraniano, Javad Zarif, è arrivato a Roma dove trascorrerà alcuni giorni durante i quali avrà incontri sia con il governo italiano – lunedì vedrà 17 maggio l’omologo Luigi Di Maio – che in Vaticano. La tappa italiana è parte di un viaggio nell’Europa meridionale che arriva in un momento particolarmente importante per Teheran. Sul piano interno, siamo a poche settimane dal voto presidenziale; su quello internazionale i colloqui per la ricomposizione dell’accordo sul nucleare Jcpoa potrebbero essere arrivati a un punto di svolta. Possibile che arrivi presto un’intesa per il rientro statunitense (dopo che l’amministrazione Trump aveva deciso il ritiro unilaterale nel 2018 e quella Obama lo aveva costruito nel 2015).
Se il Jcpoa è certamente il grande tema, l’argomento del momento è il conflitto israelo-palestinese, mentre la questione profonda è una generale perdita di fiducia iraniana nell’Europa occidentale — rappresenta da Bruxelles come istituzione centrale, da Parigi e Berlino, come un tempo motori del processo dell’Unione, e dalle capacità di internazionalizzazione di Londra. E Teheran chiede da tempo che Roma (ma anche Madrid) entrino nel sistema del Nuke Deal.
Secondo Annalisa Perteghella, Iran Desk dell’Ispi, l’Italia può e deve cercare un ruolo su quello che si aprirà dopo il rientro degli Stati Uniti nel Jcpoa, “e trasformare così il formato degli E3 in E4”. “E3” è il termine diplomatico con cui vengono definiti Germania, Francia e Regno Unito, parte dei cinque paesi del CdS Onu, più la Germania, che compongono il “5+1”, ossia i membri del tavolo di confronto che sei anni fa chiuse l’accordo nucleare con la presidenza Rouhani – di cui Zarif è sempre stato il vivace rappresentante diplomatico. “L’Italia deve puntare a entrare nel club dei tre europei, come già accade con lo Yemen, anche perché è molto ben posizionata visto che è molto ben vista in Iran, anche meglio degli E3”, aggiunge Perteghella.
Per l’analista dell’Ispi, l’allargamento del meccanismo con cui gli europei si relazionano con l’Iran sarebbe positivo soprattutto nell’ottica della costruzione di un’architettura di sicurezza regionale. Aspetto che riguarda il cosiddetto “Mediterraneo allargato”, bacino di proiezione geopolitica dell’Italia, in cui il governo Draghi può avere un importante ruolo “perché ha buone relazioni con tutti gli attori regionali e non è percepita, a differenza per esempio della Francia e del Regno Unito, come schierata con una parte in particolare”. “Nello specifico, nella percezione iraniana Roma non ha lo stesso stigma dell’inefficacia che ha al momento il gruppo E3, percepito come inabile in questi anni a rispondere all’unilateralismo trumpiano; inoltre, a differenza di Francia, Germania e Regno Unito non ha formulato dure dichiarazioni di condanna delle azioni che Teheran ha perseguito in risposta al ritiro statunitense dal Jcpoa, ed è per questo percepita come imparziale”, ha spiegato Perteghella in un report redatto a fine aprile per Parlamento e Farnesina.
“In particolare – propone Perteghella – l’Italia insieme agli altri paesi europei potrebbe porsi alla guida dello sforzo di costruzione di Confidence-Building Measures (CBMs) tra i paesi della regione al fine di stemperare le tensioni e accrescere la fiducia reciproca. L’obiettivo delle CBMs è quello di costruire in maniera graduale e crescente un senso di fiducia tra le parti: per fare questo, si incoraggia in un primo momento il dialogo e la cooperazione su questioni di cosiddetta soft security, per poi passare solo in un momento successivo e in maniera incrementale ad affrontare le questioni di hard security, per loro natura più divisive”.
Zarif, arrivato in Europa dopo aver incontrato il rais siriano Bashar el Assad a Damasco, è stato prima in Spagna con l’obiettivo dichiarato, spiegano le fonti iraniane, di “una generale espansione delle relazioni bilaterali e della cooperazione in ambiti di interesse reciproco”. Doveva andare anche a Vienna, sede dei negoziati sul Jcpoa, ma è stato protagonista di un incidente diplomatico: ha infatti deciso di cancellare la visita per protesta contro la decisione del cancelliere Sebastian Kurz di fare issare la bandiera di Israele sulla sede della cancelleria. L’austriaco ha definito la scelta “un atto di solidarietà” nei confronti di Israele “sotto attacco dei terroristi”; Zarif guida la diplomazia di un paese che sostiene la questione palestinese e non riconosce lo stato ebraico (e un paese che, attraverso le iniziative semi-indipendenti dei Pasdaran, rifornisce di armamenti i gruppi armati palestinesi); a inizio settimana il ministro italiano ha avuto un colloquio telefonico con il leader politico di Hamas, Ismael Haniyeh.
Il ministro è il leader del gruppo politico che si rifà a principia pragmatico-riformisti, anche detti “moderati”, gruppo che ha avuto con i due mandati del presidente Hassan Rouhani modo di governare il paese dall’agosto del 2013. Amministrazione che è stata sempre messa sotto attacco da parte dei conservatori e soprattutto dei Pasdaran, che hanno portato avanti (e continuano a farlo) iniziative aggressive in politica estera per intralciare il lavoro del governo. Recentemente è stato protagonista di un leak audio in cui si lamentava del fatto che durante tutto il suo mandato ha avuto le mani abbastanza legate perché la politica estera iraniana è portata avanti (quanto meno anche) da figure appartenenti ai Pasdaran come il generale Qassem Soleimani, leader del corpo teocratico eliminato in un raid aereo americano nel gennaio 2020. Dopo voci che lo volevano candidato, mercoledì Zarif ha confermato che non correrà alle elezioni del 18 giugno.