Washington è orientata allo sviluppo di nuove armi per le (eventuali) nuove guerre nel futuro, e non al rafforzamento degli armamenti attuali — cosa che chiede invece ai partner (Giappone, Filippine eccetera), per coprire la propria fase di ricerca e sviluppo
L’Asia Nikkei Review titola “Gli Stati Uniti spingono il Giappone a rendersi conto della minaccia cinese” un articolo sulle pressioni che Washington starebbe esercitando su Tokyo per spingerlo a un sostanzioso riarmo. Ai nipponici i partner americani chiedono un serio rafforzamento della potenza militare — che Tokyo ha avviato, ma secondo gli americani occorre fare di più per costruire la postura nell’Indo Pacifico, il grande bacino geopolitico da cui gli Usa intendono avviare il contenimento globale cinese. La notizia sulle (rinnovate) pressioni statunitensi si accoppia ad altre due.
La prima riguarda una commessa militare che il Congresso ha instradato per rafforzare le Filippine: 2,52 miliardi dollari, una settantina di F-16 e kit connessi, missili anti-nave Harpoon e missili tattici Sidewinder. Manila e Pechino sono recentemente arrivate alle offese pubbliche per una vicenda legata alla pesca attorno a isolotti contesi nel Mar Cinese, e Washington sfrutta il momento per farsi sentire vicino a un alleato importante. Seconda, più importante e collegabile, l’amministrazione Biden ha presentato ai legislatori nei giorni scorsi la prima richiesta per budget militare: 112 miliardi, più che altro indirizzati verso la ricerca di nuovi armamenti ultra-tecnologici.
Necessità, davanti alla crescita esponenziale delle capacità militari cinesi di cui parlano ormai con cadenza costante i principali comandanti americani e Nato — ultimo in ordine di tempo Sir Stuart Peach, ex Air Chief Marshal della Royal Air Force e del comitato militare della Nato, che al Financial Times ha detto che è “abbastanza scioccante” vedere quanto “rapidamente” la Cina ha modernizzato il suo apparato militare. Navi, aerei, mezzi di fanteria hi-tech, ma anche capacità di gestione, comando e organizzazione. Richiami non nuovi in questo periodo: recentemente di “sfida tecnologica all’Occidente” ha parlato anche il generale italiano Claudio Graziano, presidente del Comitato militare dell’Unione europea.
Matt Pottinger, vice consigliere per la Sicurezza nazionale alla Casa Bianca, ha detto due settimane fa che la Cina ora spende di più per le sue forze armate “di tutti i paesi dell’Asia messi insieme”. Lo ha definito il “più grande accumulo militare in tempo di pace certamente nell’era moderna, forse uno dei più grandi della storia”. E davanti a questo — stando a uno scoop non smentito di Politico — il Pentagono potrebbe istituire una task force navale permanente nell’Indo-Pacifico insieme a un’operazione militare che permetterebbero agli Usa di spostare ulteriori risorse sul contenimento della Cina. Mossa tattica.
Ma per muoversi Washington ha bisogno degli alleati. Anche perché secondo le analisi dei militari americani il rischio potenziale di un conflitto esiste eccome. Il Capo di Stato Maggiore Mark Milley ha messo in chiaro in una deposizione al Congresso che la Cina intende acquisire tutta la capacità necessaria per invadere Taiwan nei prossimi sei anni. E questa capacità passa certamente dal potenziamento, anche tecnologico, del comparto anfibio, ma pure da un più generale sviluppo della deterrenza adeguata per mantenere lo standing internazionale a fronte di certi obiettivi (anche per questo il Partito/Stato ha deciso di accrescere l’arsenale nucleare).
Da Taiwan passa anche un nodo del rafforzamento militare giapponese. Tokyo percepisce la volontà cinese di riannettere quella che viene considerata per dottrina politica una provincia ribelle (volontà frutto di una necessità, perché una super potenza non può mostrarsi divisa internamente, ossia non possono esistere due Cine). Per il Giappone è una minaccia alla sicurezza nazionale, come spiegato dalla Bloomberg, e anche per questo starebbe inserendo il dossier nel documento strategico sulla sicurezza. Un punto di contatto pratico con Washington, mente fino a poco tempo fa il destino di Taiwan non era argomento centrale in Giappone.
E dunque Washington a Tokyo chiede due cose. La prima essere in modo convinto nel gruppo che fronteggia la Cina sul piano politico, ossia prendendo posizioni per esempio sui diritti di esistenza di Taiwan, o sulle scelte strategiche che riguardano le nuove tecnologie. Secondo, un riarmo coerente con le necessità, che come spiega la Nikkei sono innanzitutto un allungamento della vita operativa dei sottomarini nipponici e un miglioramento delle capacità missilistiche: due elementi che migliorerebbero la capacità di deterrenza dell’arcipelago e ne darebbero maggiore caratura (soprattutto se abbinate alla rilevanza geostrategica del Giappone). Questo secondo punto è una necessità tutta statunitense: la prima richiesta di budget militare infatti spiega che Washington adesso è orientata allo sviluppo di nuove armi per le (eventuali) nuove guerre del futuro, e non al rafforzamento degli armamenti attuali — cosa che chiede invece ai partner (Giappone, Filippine eccetera), per coprire la propria fase di ricerca e sviluppo.