Sono sempre di più le piccole e medie imprese locali che non riescono a rimborsare i prestiti alle banche rurali della provincia, che a loro volta rischiano il default. Il report di Standard&Poor’s che accende la spia per il Dragone. Per il quale il too big to fail non vale più
Qualcosa non va nel verso giusto negli angoli più remoti della Cina. A migliaia di chilometri di distanza da Pechino, mentre il governo centrale combatte la sua battaglia contro un nemico insidioso, il debito (i casi Huarong e Ping An sono l’emblema di una crisi ormai conclamata), nella provincia cinese lo stesso nemico comincia a mietere le prime vittime, dando origine a quello che presto o tardi potrebbe diventare un contagio sistemico, aumentando il tasso di fragilità domestica della seconda economia mondiale.
Centinaia di piccole e medie imprese sono a un passo dall’insolvenza, trascinando nel baratro le piccole banche locali che prestano denaro ai territori. E si sa, quando le banche cominciano a fallire, non è mai un buon segnale. La spia l’ha accesa Standard&Poor’s, con un report che a Pechino non dovrebbero prendere per nulla sottogamba.
“Le banche commerciali rurali cinesi rimangono sono oggi tra i prestatori meno redditizi del Paese e questo a causa del rischio default delle piccole imprese, clienti chiave di questi piccoli istituti”, è la premessa del report. “Queste banche rurali”, scrive l’agenzia di rating americana “sono i principali finanziatori per gli agricoltori e le piccole imprese nelle regioni meno sviluppate”. La crisi delle piccole imprese si è ripercossa, dunque, sulle banche locali, “che sono state le più colpite”.
Secondo Standard&Poor’s, “la performance delle banche rurali è altamente correlata alla forza delle piccole e medie imprese, che sono più vulnerabili durante i periodi di recessione. Quasi il 18,5% delle piccole imprese cinesi ha chiuso nel 2020, rispetto al 6,7% nel 2019”. Di più: la maggior parte delle banche commerciali rurali prestano denaro alle piccole imprese che potrebbero avere difficoltà a prendere in prestito da grandi banche. Circa la metà dei prestiti delle banche commerciali rurali sono a privati e per mutui, mentre il 20% della loro esposizione è al settore manifatturiero.
Non può stupire dunque che gli investitori siano “sempre più preoccupati per il rischio di default tra i governi locali per la prima volta da anni” e questo nonostante le stesse autorità locali abbiano “lottato per raccogliere fondi nel mercato obbligazionario, attraverso l’emissione di bond”. Non è chiaro se ha Pechino siano pronti a un’ondata di insolvenze presso le piccole banche locali. La filosofia del Dragone in materia di salvataggi è profondamente cambiata negli ultimi tempi.
Al punto che, come raccontato da Formiche.net la commissione di vigilanza bancaria e assicurativa ha apertamente invitato i colossi del settore a predisporre piani di risanamento propri, che non tengano cioè conto di un possibile intervento dello Stato, qualora il paracadute non dovesse funzionare. A Pechino, non è un mistero, si respira una certa preoccupazione per le sorti di alcune grandi aziende cinesi, finite in crisi di liquidità a causa dell’enorme debito accumulato e mai ripianato. Huarong, Ping An Anbang, sono alcuni dei casi più famosi e drammatici allo stesso tempo.
L’obiettivo di tali piani, hanno spiegato fonti ben qualificate a Reuters ( in Cina tali operazioni vengono associate ai testamenti biologici, sorta di operazioni salva-vita) è assicurarsi che le istituzioni finanziarie non finiscano per aver bisogno di costosi salvataggi per mano pubblica, come avvenuto finora. E questo perché le finanze del Dragone, provate dalla crisi del debito e da problemi demografici sempre più evidenti, non potrebbero sopportare salvataggi a catena, qualora la crisi del debito sfuggisse definitivamente di mano. La filosofia è chiara come ha spiegato la stessa fonte: devono essere gli azionisti e non più l’onnipresente Stato a garantire la sopravvivenza dell’impresa. Tradotto da oggi non sarà più concesso fare affidamento esclusivamente sull’intervento pubblico.