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La Cina nel Mediterraneo trova ancora il collante americano

Quali sono gli scenari emergenti nella regione Euro-Mediterranea in relazione alla presenza e all’interessamento cinese? Il panel di “Strategic Nexus” organizzato da Formiche e ChinaMed. Con Katulis, Friedman, Andornino e l’ex ambasciatore Yue

Giovanni Andornino, docente di Relazioni internazionali dell’Asia orientale presso l’Università di Torino, è curatore del volume “Cina. Prospettive di un paese in trasformazione”, da poco pubblicato dalla casa editrice Il Mulino: le trasformazioni in atto a Pechino sono un fattore di interesse globale e se è vero che esiste una sfida del modello Occidente lanciata a Pechino, allora l’attenzione principale va posta sul Mediterraneo, ancora centro di attrazione gravitazionale delle grandi potenze, dagli Usa all’Ue, alla Russia e appunto alla Cina.

Andornino è tra gli speaker del panel “Euro-Mediterranean region and China: emerging scenarios”, nell’ambito di “A Strategic Nexus”, organizzata da Formiche e ChinaMed. Con lui Brian Katulis, senior fellow del Center for American Progress; Brandon Friedman, direttore della ricerca al Moshe Dayan Center for Middle East and North Africa Studies dell’Università di Tel Aviv. Il keynote speech dell’evento, moderato dal professor Wang Dong della Peking University, è stato tenuto dall’ex ambasciatore cinese in Irlanda, Giordania e Qatar, Yue Xiaoyong.

“Il mio messaggio è semplice: se si ascolta l’America è in corso una great power competition, con una nuova-America che sta arrivando”, una nuova super potenza predatrice, la Cina, ma “questa è solo narrativa in cui molti cinesi si trovano a disagio”, dice Yue. L’obiettivo della Cina, spiega il diplomatico, è quello di creare partnership positive di reciproco interesse (win-win), di inserirsi nel processo di sviluppo in corso, di dare input al “restart”. L’ambasciatore spiega che Pechino punta a “pace, sviluppo e cooperazione” e si offre come sponda per il recupero dalla pandemia e sulle grandi questioni globali come il Climate Change. Il keynote segue una linea istituzionale che ruota attorno alla necessità di dialogo che il suo paese sente per spiegarsi meglio ai suoi interlocutori.

Katulis sposta l’attenzione su un fattore: l’impegno diplomatico e politico che la Cina intende giocare come coinvolgimento su alcune questioni cruciali per la regione del Mediterraneo Allargato. Per esempio, cosa è disposto a fare Pechino per la guerra in Yemen? E per la Libia? O la Siria? Ossia, il Partito/Stato cinese si vede come un attore interessato solo alla sfera economica e commerciale, degli investimenti, oppure vuole agire da veicolo per aiutare la stabilizzazione di certi contesti? Con un dubbio in più su cosa intende fare la Cina con l’Iran, con cui ha chiuso un accordo venticinquennale e che è un attore delicato da includere all’interno delle dinamiche di sicurezza regionali (cosa che anche gli Stati Uniti stanno cercando di fare rientrando nell’accordo sul nucleare Jcpoa, di cui la Cina fa parte).

Questo chiaramente cambierebbe la postura cinese nella regione, aumentandone impegni e coinvolgimenti, e Katulis ha ricordato come alla base della politica estera di Joe Biden ci sia la volontà di stringere le relazioni e la cooperazione con gli alleati democratici americani. Riposta alla pandemia, Climate Change (“grande sfida per il Mediterraneo”, dice Katulis), corsa tecnologica, human security sono gli elementi in cui Cina e Stati Uniti si collegano alla regione mediterranea – con Biden che rafforza l’alleanza e Xi Jinping che cerca spazi – e dove la cooperazione Usa-Ue e/o Ue-Cina diventa anche questione geopolitica verso il Medio Oriente e il Nord Africa, spiega l’esperto del CAP. Aspetti da tenere in considerazione anche davanti alle volontà di autonoma strategica europee.

Una situazione, la dicotomia Usa-Cina, in cui anche “Israele, come gran parte dei paesi mediorientali e molti altri europei, si trova a navigare”, spiega Friedman – dando risalto alla posizione di un attore cruciale per le dinamiche del Mediterraneo. “Differentemente dalla Guerra Fredda […] vedo un mondo la cui economia è completamente globalizzata” e in questo il ruolo cinese è di primissimo piano. L’aumento delle tensioni tra Washington e Pechino si risente su paesi come Israele che “si trovano in una posizione particolare”, non tanto perché vedano nella Cina un fornitore di tecnologia ma in quanto interessato a Pechino sul fronte dell’ingaggio con l’Iran, nemico esistenziale dello stato ebraico con cui (come detto) i cinesi dialogano.

Vedremo la competizione sino-americana in corso sul Mar Cinese spostarsi dall’Oceano Indiano al Mar Rosso e al Mediterraneo? È un interrogativo di Friedman su uno scenario altamente strategico, che riguarda anche la prioritarizzazione che gli americani stanno dando all’Asia (rispetto al Medio Oriente) e un rimbalzo cinese in senso opposto. Il contenimento cinese (da parte degli americani) è uno dei quattro fattori che valuta Andornino, insieme a “consequenzialità, scelta e competenza”.



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