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Jcpoa e non solo. L’Iran di Raisi guarderà più a Cina e Russia?

L’avvicinamento di Teheran a Russia e Cina, in parte già in corso, potrebbe facilitare la ricomposizione del Jcpoa (anche dal punto di vista della narrazione). Ecco perché

Secondo l’ambasciatore Mikhail Ulyanov, inviato speciale della Russia alle trattative viennesi sull’accordo Jcpoa per il nucleare iraniano, dopo gli incontri della scorsa settimana i vari delegati torneranno nei rispettivi Paesi per consultazioni e poi “il prossimo round sarà quello finale”. È almeno la seconda volta che lo dice, indicando che Mosca vuole spingere per trovare un’intesa rapidamente, consapevole che nessuna delle parti ha avuto soddisfazione completa, ma tutti gli Stati “potrebbero essere soddisfatti”.

Le dinamiche che si muovono all’interno dei tavoli negoziali in cui si cerca di ricomporre lo schema dell’accordo – gravato dall’uscita trumpiana e dall’inizio delle violazioni per rappresaglia da parte di Teheran – sono interessanti anche perché già in queste settimane si notano alcune forme di ri-posizionamento che potrebbero essere indicative di una traiettoria che l’Iran del neo-presidente Ebrahim Raisi intenderà prendere.

Come ricordava su queste colonne Aniseh Bassiri Tabrizi (Rusi) per comprendere quale sarà quella traiettoria sarà importante aspettare di vedere i nomi a cui sarà affidata la politica estera, ma quello che è possibile anticipare è che mentre l’uscente presidenza Rouhani aveva come meta ideale l’Europa e l’Occidente (Usa) anche per formazione culturale, il gruppo politico a cui Raisi fa capo vede come un potenziale riferimento il mondo composto tra Cina e Russia – anche per orientamento ideologico anti-americano e anti-occidentale.

Dal Cremlino sono arrivate a Raisi le prime congratulazioni internazionali per la vittoria — con l’augurio di rafforzare la cooperazione strategica (che al di là della retorica è stata anche oggetto di disguidi abbastanza importanti nel teatro operativo della Siria, dove i russi che controllano lo spazio aereo lasciano passare i cacciabombardieri israeliani che colpiscono i Pasdaran quando passano armi alle milizie sciite di Iraq e Libano, proxy per l’influenza regionale di Teheran).

Dalla Cina ci si aspetta un approfondimento della penetrazione economica. Sfruttando anche l’accordo venticinquennale recentemente firmato, Pechino potrebbe spingere investimenti in infrastrutture (porti, aeroporti, autostrade) e diverse forme di cooperazione che dal piano più puramente economico potrebbero spostarsi a quello politico. D’altronde la Cina è il portafoglio dell’asse a tre che, tramite la capacità militare russa, si è mostrato pubblicamente in diverse esercitazioni navali nell’Indiano.

Questo pezzo non necessariamente si tradurrà in una scomposizione della traiettoria di contatto che si è creata sul nucleare. Sia Russia che Cina sono interessate alla stabilità regionale — aspetto che molto dipende anche dall’Iran. Inoltre Mosca e Pechino potrebbero sfruttare il dossier per crearsi credito davanti alla Comunità internazionale come attori capaci di risolvere una controversia delicata. Di più, potrebbero rivendicare, trovando una quadra con Teheran, un successo che Usa e Ue non sono stati in grado di raggiungere in questi tre anni di impasse.

Allo stesso tempo, l’Iran potrebbe avere interessi concordanti. Nella Repubblica islamica il dossier Jcpoa è stato usato per questioni di politica interna: ogni mossa fatta dai pragmatico-riformisti di Hassan Rouhani veniva attaccata dai conservatori, fin dalla costruzione dell’accordo nel 2015. Ma adesso che Raisi è al potere, diretto verso la Guida suprema; che al parlamento i conservatori sono in maggioranza allineati con la leadership teocratica (anche l’ala militare); insomma ora che tutto il panorama istituzionale è allineato, l’accordo potrebbe non essere usato più per polemiche politiche ma sfruttato pragmaticamente.

L’amministrazione di Teheran ha bisogno dei fondi che lo sblocco delle sanzioni (legato al rientro americano nell’intesa e al riallineamento iraniano) potrebbe facilitare di molto. I conservatori di Raisi potrebbero dunque sentirsi liberi di accettare certi compromessi che non avrebbero mai perdonato ai rivali politici interni. Linea su cui potrebbero trovare concordi anche russi e cinesi pronti ad aiutarli anche nella narrazione per andare oltre a un racconto che li vedrebbe rientrare in un accordo con gli occidentali. Tutto potrebbe passare dalla scelta dell’attuale viceministro degli Esteri, Abbas Araghchi, top negoziatore a Vienna è noto per le sue visioni pragmatiche, come capo della diplomazia di Raisi.

 

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