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Così il Giappone “riconosce” l’indipendenza di Taiwan

Taiwan non è più colorata come parte della Cina nel nuovo libro bianco della Difesa giapponese. Un’evoluzione nel pensiero strategico di Tokyo che individua nella crisi lungo lo Stretto e nel rischio di uno scontro tra Cina e Usa un potenziale elemento di destabilizzazione della sicurezza nazionale

Il ministero della Difesa giapponese (MOD) ha rimosso per la prima volta Taiwan da una mappa della Cina pubblicata nel libro bianco delle Forze armate uscito il 13 luglio. La questione non è da poco, se si considera che Pechino considera l’Isola come una provincia ribelle da riannettere anche con la forza e ha più volte considerato violazione della propria sovranità certi approcci agli affari di Taipei.

Tanto più se si inserisce quell’iconografia simbolica (in foto) con cui Tokyo riconosce l’indipendenza taiwanese nel trend della ultime settimane. Il governo giapponese ha infatti inviato messaggi chiari sulla questione taiwanese, definita come un fattore critico per la sicurezza nazionale — in quanto potenziale scenario di un attacco militare cinese che potrebbe coinvolgere l’intera e su cui il Giappone s’è già detto pronto alla difesa di Taiwan con gli americani.

Negli anni precedenti, il libro bianco giapponese univa Taiwan e la Cina nello stesso capitolo e mappa (attirando anche critiche dai taiwanesi che vivono in Giappone), per questo il cambiamento segna che la politica giapponese sta evolvendo. Taiwan è stato infatti incluso nella Parte I, Capitolo 2, Sezione 3 in cui si trattano le relazioni tra Stati Uniti e Cina; incorporato con un’analisi sulla situazione militare lungo lo Stretto, inserito come teatro di combattimento indipendente in cui la Cina sta rafforzando il proprio coinvolgimento preparandosi all’azione.

Il ministero della Difesa giapponese, Nobuo Kishi, ha sottolineato nel documento che “stabilizzare la situazione che circonda Taiwan è importante per la sicurezza del Giappone e la stabilità della comunità internazionale […] Pertanto, è necessario prestare molta attenzione alla situazione con un senso di crisi ora più che mai”. Durante la conferenza stampa settimanale, il portavoce del ministero degli Esteri cinese ha risposto lamentando che il Giappone ha “gravemente interferito negli affari interni della Cina, incolpando infondatamente la normale costruzione della difesa e l’attività militare della Cina, puntando il dito contro l’attività marittima cinese, e ha esaltato la cosiddetta minaccia cinese, che è sbagliato e irresponsabile”. Il ministero degli Affari Esteri di Taiwan ha accolto con favore le modifiche al libro bianco ringraziando Tokyo per “evidenziare l’importanza di stabilizzare la situazione che circonda Taiwan e prestare estrema attenzione alla situazione con senso di crisi adesso più che mai”. Silenzio per ora da Washington.

I giapponesi sanno che davanti all’ascesa cinese serve sviluppare deterrenza; e sanno altrettanto di avere bisogno di moltiplicatori di forza. Su questo sembrano preferire spazi multilaterali, come il Quad (dove lavorano più con l’Australia che con l’India), o come la strutturazione di alleanze che stanno mettendo in piedi nella regione, piuttosto che la subordinazione diretta agli Stati Uniti. Tokyo ha già dimostrato di voler gestire la partita in modo possibilmente più autonomo. Sebbene con la consapevolezza che Washington sia una sponda cruciale, la preoccupazione maggiore che la Difesa giapponese rende esplicita è che l’aumento delle ostilità tra Cina e Usa si traduca in uno scontro a Taiwan. Come per la modifica della mappa, è inusuale anche questa nettezza di posizione su un comportamento americano non completamente avallato.

La questione che separa Washington e Tokyo non è tanto strategica quanto tattica. Entrambe hanno riconosciuto reciprocamente che il contenimento di Pechino, l’arretramento anche per deterrenza militare da aree come Taiwan o il Mar Cinese su cui si stanno coordinando, sia una necessità di lunga durata, ma la tattica cambia. Gli americani vorrebbero procedere subito con vigore, perché temono di doversi poi scontrare con un’espansione troppo larga; i giapponesi accettano in alcuni campi una sorta di status quo perché temono che un’implosione cinese sotto i colpi americani possa essere problematica anche per loro. Sotto quest’ottica la partecipazione alle attività statunitensi nel grande quadrante politico dell’Indo Pacifico è per il Giappone una necessità sia perché non può permettersi di staccarsi dagli Usa, sia per cercare di controllare quanto più possibile le dinamiche in atto.



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