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L’Iran rafforza la sua sicurezza. Petrolio dal Golfo dell’Oman, Pasdaran sul nucleare

L’aumento della protezione delle strutture energetiche, che siano i terminal del petrolio o gli impianti nucleari, potrebbe portarsi dietro un aumento delle tensioni collegato alla retorica interna all’Iran, che in questa fase detta i tempi delle azioni di Teheran

La Repubblica islamica sta pianificando l’apertura di un terminal petrolifero sul Golfo dell’Oman per poter aggirare il collo di bottiglia, strategico quanto vulnerabile, dello Stretto di Hormuz. “Questa è una mossa strategica e un passo importante per l’Iran” ha spiegato il presidente uscente Hassan Rouhani durante un’intervista televisiva, perché “garantirà la continuazione delle nostre esportazioni di petrolio”. “Questo nuovo terminal per l’esportazione di greggio mostra il fallimento delle sanzioni di Washington contro l’Iran”, aggiunge il presidente che per otto anni ha guidato il paese sotto la visione pragmatico-riformista, sconfitto poche settimane fa da Ebrahim Raisi, conservatore.

Le dichiarazioni sugli Stati Uniti sono parte della dialettica interna alla politica iraniana, che in questo momento sta dominando molte delle attività internazionali del paese: per esempio lo stop ai negoziati in corso a Vienna per la ricomposizione dell’accordo nucleare Jcpoa. Ma l’annuncio ha un valore per il quadro geostrategico regionale. L’investimento iraniano vale 2 miliardi di dollari e potrebbe permettere a Teheran di esportare fino a un milione di barili al giorno – per ora diretto verso i paesi a cui non importa subire gli effetti secondari delle sanzioni riattivate dopo il ritiro statunitense dal Jcpoa.

Lo stretto di Hormuz è il corridoio più importante per il traffico di idrocarburi globale. Da lì passano le petroliere e le gassiere che escono dai paesi del Golfo Persico; lì ci sono stati diverse azioni di sabotaggio che hanno fatto da sfogo alle tensioni regionali; tensioni tra Iran e Israele, Iran e Paesi del Golfo, Iran e Stati Uniti, e per questo quell’area è oggetto di una missione di sicurezza di alcuni paesi europei, “Emasoh“, a cui prende parte anche l’Italia.

L’idea di aggirarlo darebbe alla Repubblica islamica maggiore controllo del proprio export, e allo stesso tempo manda un messaggio resiliente su quanto sottolinea Rouhani. L’Iran va avanti, in sintesi, nonostante la “massima pressione” (la strategia con cui l’amministrazione Trump aveva stretto la cinghia su Teheran; strategia sostanzialmente continuata dalla presidenza Biden nonostante l’avvio di negoziati più concreti).

La sicurezza energetica si abbina alla narrazione politica. Qualcosa di simile sta avvenendo attorno ai siti nucleari, che nel corso del 2021 (anche prima, lo scorso anno) hanno subito diversi incidenti su cui pesa il sospetto di sabotaggi, se non attacchi diretti. Come quello eseguito probabilmente da un drone israeliano il 23 giugno, contro una fabbrica che produce pale in alluminio per centrifughe all’uranio.

Finora le Sepāh, il corpo militare teocratico noto come Pasdaran o con l’acronimo inglese Irgc, hanno usato quanto accaduto per denunciare azioni dall’esterno e criticare il governo Rouhani (ritenuto troppo morbido e dunque colpevole d’aver esposto il paese a infiltrazioni dei nemici) o per spingere il proprio storytelling fatto di minacce e propaganda contro Israele o gli Stati Uniti. Recentemente qualcosa è cambiato.

Nell’attacco del 23 giugno si è scelta la via della minimizzazione. Le Irgc hanno usato un capro espiatorio e hanno celebrato le loro capacità di difesa nell’aver fatto in modo che quanto accaduto non prendesse dimensioni maggiori. In realtà i danni sono stati significativi, ma i Pasdaran cercano di rimpiccolire perché in questo momento dirigono la gestione della sicurezza degli impianti atomici e subire un attacco sarebbe un colpo di immagine (soprattutto dopo aver criticato i nemici politici interni per le incursioni subite). Il trasferimento di competenze era stato deciso ad aprile, dopo che il grande sito di Natanz era finito vittima di un probabile sabotaggio, poi a maggio era stato creato un centro di coordinamento congiunto tra diverse agenzie di difesa e sicurezza, tutte messe sotto controllo più meno diretto delle Sepāh.

Gli effetti di questo rafforzamento della sicurezza attorno alle strutture energetiche iraniane possono essere vari, proprio perché come detto si legano alla retorica politica. Da una parte i Pasdaran potrebbero decidere di aumentare la violenza delle reazioni dovessero esserci nuovi attacchi, un modo per sembrare in grado di rispondere con fermezza; dall’altro potrebbero minimizzare per non sembrare vulnerabili. Contemporaneamente chi compie quelle missioni offensive potrebbe decidere di aumentarne forza e frequenza, per dimostrare la vulnerabilità delle Irgc, per stimolare una reazione interna (anche nei giorni scorsi ci sono state proteste contro il governo per la carenza di acqua) e per portare alla reazione violenta i Pasdaran (in modo provocatorio, testimonianza di quanto le forze teocratiche sono aggressive).



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