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Israele-Turchia. Cosa c’è oltre alla telefonata tra Erdogan e Herzog

I presidenti di Israele e Turchia parlano al telefono di relazioni bilaterali e del peso di queste nel delicato equilibrio della regione del Mediterraneo Allargato. Ankara e Gerusalemme si parlano, come piace a Washington

Tanto quanto il riavvio dei rapporti con la Giordania (con il viaggio segreto ad Amman), per il primo ministro israeliano, Naftali Bennet, la telefonata del presidente Isaac Herzog al suo omologo turco, Recep Tayyp Erdogan, rappresenta la continuazione di un percorso già avviato. Con uno slancio: se è vero che è per volontà di Banjamin Netanyahu che si sono scritti gli Accordi di Abramo — sebbene sotto dettatura di Washington — è altrettanto vero che il carattere di Bibi aveva chiuso alcune porte diplomatiche, come quelle giordane attraverso le quali si era consumato lo scontro anche personale con Re Abdullah II. E se è vero che gli Accordi di Abramo escono dalla necessità strategica statunitense di stabilizzare al massimo la regione MENA, volontà semplificata dall’amministrazione Trump, è altrettanto vero che anche la presidenza di Joe Biden continua a percepire come prioritari i contatti e il dialogo tra i diversi attori di quell’area. Contatto e dialogo che rappresentano la possibilità di dare priorità ad altri dossier (ossia a quello macro con la Cina).

Erdogan e Herzog hanno discusso questioni bilaterali, come la soluzione — “a due stati — del conflitto israelo-palestinese, con Ankara che durante l’ultimo scontro a Gaza di pochi mesi fa si era intestata il ruolo di protettrice internazionale della Palestina. Un ruolo su cui Erdogan aveva costruito una forte narrazione per uso interno, ma usato anche per rivendicare la possibilità di giocare una posizione più terza. Posizione possibile in quanto non direttamente coinvolto con Israele come i firmatari degli Accordi (su tutti gli Emirati Arabi, ma anche l’Arabua Saudita, che quegli accordi li ha sostenuti sebbene non vi è entrata formalmente, impossibilitata dalla dimensione occupata nel mondo islamico come paese ospitante i luoghi sacri). Della telefonata con l’israeliano la Turchia ci tiene anche a sottolineare che si è discusso “l’elevato potenziale di cooperazione nel campo dell’energia, del turismo, della tecnologia”.

La questione energetica è la prima necessità pratica di riallaccio delle relazioni con Gerusalemme per Ankara. Israele è parte del Forum energetico del Mediterraneo Orientale, i suoi reservoir recentemente scoperti hanno grande potenziale, le sue capacità politiche e tecnologiche (e militari) gli danno un ruolo di primo piano nel sistema geopolitico che si è creato nel quadrante Est del bacino. Un sistema di cui sono parte Cipro e Grecia e in cui si snoda la cooperazione con Francia ed Emirati: sebbene con sfumature diverse, tutte realtà ostili ad Ankara. Riagganciare Gerusalemme è fondamentale per Erdogan. Anche perché seguirebbe quella volontà chiaramente espressa da Washington — che osserva le potenzialità del Forum, della regione, dei suoi attori, con la consapevolezza che sebbene possano essere veicoli di prosperità, altrettanto possono diventarlo di disequilibri.

Turchia e Israele hanno una grande importanza per la sicurezza nella regione, sottolinea Ankara consapevole del proprio ruolo nella Nato e di quello che Israele gioca come viceré americano in Medio
Oriente.La chiamata di Erdogan, fatta ufficialmente per congratularsi con Herzog a poche settimane dall’entrata in carica, è inusuale. Come ha sottolineato su queste colonne Shalom Lipner (ex alto funzionario israeliano ora all’Atlantic Council), Herzog vuole giocare un ruolo importante nella politica estera israeliana e lo dimostra anche la sua presenza all’apertura dell’ambasciata degli Emirati Arabi Uniti a Tel Aviv (in agenda mercoledì 15 luglio). Il presidente può vantare ottimi rapporti con il Vecchio Continente attraverso la filiera laburista che fa riferimenti ai Labour britannici, ma anche con i Democratici americani. Fattori che servono da moltiplicatore anche nel caso delle relazioni con la Turchia, su cui sia Usa che Ue sono in difficoltà. Un gancio anche per Ankara.

 


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