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Kim manda messaggi di amicizia a Pechino, ma con Washington…

Autocritica e aggressività. Pyongyang è in difficoltà (economica, politica, sanitaria), ora il leader nordcoreano recupera terreno nell’ambito di quella che pare una competizione interna al regime. E i messaggi di amicizia a Pechino arrivano anche a Washington

Il satrapo nordcoreano Kim Jong-un ha mandato il suo personale messaggio a Pechino in occasione del centenario del Partito comunista cinese, confermando la volontà e la necessità del suo Paese di stringere ulteriormente le relazioni con la Cina – principale, se non unico, alleato del Nord, che spesso in passato si è trovata in imbarazzo davanti alle minacce missilistiche (atomiche) schizofreniche di Pyongyang.

Secondo Kim è solo grazie al sostegno cinese che il suo Paese potrà “navigare crisi come quella della pandemia”. Un messaggio diretto a Pechino tanto quanto a Washington, dopo che lui stesso, parlando ai membri del Partito dei lavoratori in plenaria, aveva chiesto di essere pronti anche alla diplomazia con gli americani. Smentito, sebbene non apertamente, dalla sorella Kim Yo-jong, ora il leader nordcoreano recupera terreno nell’ambito di quella che pare una competizione interna al regime, e allo stesso tempo cerca terreno narrativo davanti a difficoltà (insolitamente) sempre più ammesse.

Stando al resoconto del biglietto di auguri riportato dalla KCNA, Kim ha detto che “la calunnia feroce delle forze ostili e la pressione a tutto tondo sul Partito comunista cinese non sono altro che un ultimo disperato tentativo e non potranno mai controllare l’avanzata in corso del popolo cinese”. Un evidente riferimento agli Stati Uniti, nemico comune.

Con cui però lo stesso Kim non esclude contatti. Il leader nordcoreano è in una posizione complicata: chiamato dall’evidenza dei fatti (che ormai supera la propaganda) ad ammissioni di responsabilità sulla gestione del Paese si trova davanti alla necessità di avere dei protettori e delle assistenze. Difficile che queste arrivino dall’Occidente (leggasi Usa) però chiudere del tutto la porta alla diplomazia con Washington è rischioso.

Tanto più se si considera che l’amministrazione Biden pare aver riposto il fascicolo nordcoreano in un cassetto ben sigillato — in attesa di tempi migliori, della risoluzione delle controversie interne al regime, della logica preferenza nel gestire dossier a maggiore priorità. Kim vede muoversi il mondo attorno a lui, però: recentemente il presidente sudcoreano, Moon Jae-in, è sterile a Washington, dove è stato anche nominato il diplomatico Sung Kim come inviato speciale degli Stati Uniti per la Corea del Nord.

Pyongyang soffre condizioni economiche pessime, che lo stesso Kim è stato costretto ad ammettere durante una riunione del Politburo già due anni fa. La leadership nel frattempo ha spinto la narrazione attorno allo sviluppo di progetti infrastrutturali piuttosto che sulle armi, ma anche quello è un settore in difficoltà a causa dell’economia bloccata anche (o soprattutto) dalle sanzioni. In più c’è il problema Covid a contribuire a questa condizione di disagio endemico tra i nordcoreani, che non hanno accesso agli approvvigionamenti alimentari in modo adeguato. Una situazione riconosciuta anche da Kim in un incontro del Partito poche settimane fa.

Un’altra ammissione che nei giorni scorsi si è unita a quella sulla gestione della pandemia. La Corea del Nord è uno dei luoghi in cui le misure restrittive sono ancora oggi molto severe — e sull’insufficienza degli approvvigionamenti (anche alimentari) pesa anche la chiusura dei collegamenti con la Cina. Tuttavia l’epidemia non sembra sotto controllo, nonostante il racconto positivo finora fatto dal regime.

Affrontare certe circostanze non è solito da parte di Pyongyang, che però le usa anche come modo per scaricare le responsabilità di quanto accade su alcuni gerarchi e funzionari che sarebbero stati vittime di nuove purghe. Incolparli consolida il controllo del regime sul Paese, ma apre anche alla possibilità dell’arrivo di aiuti dall’estero, e nel frattempo lascia spazio alla doppia linea. Nel contesto enigmatico nordcoreano infatti è difficile capire se le dichiarazioni della sorella del satrapo Kim Yo-jong siano un segno di effettive divisioni interne o una rassicurazione ai gerarchi più conservatori che non apprezzano troppo le pseudo-aperture del leader. Oppure entrambe le situazioni.

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