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Macron in Polinesia per riaffermare la forza francese nell’Indo-Pacifico, pensando alla Cina

Il presidente francese va in Polinesia per mantenere forte il legame con i territori d’oltremare e per contrastare la crescente attività cinese. Parigi ha interessi diretti, anche nel dimostrarsi una potenza della regione

Le visite dei presidenti francese nei Territori d’Oltremare sono famose per le foto colorate, tra collane di fiori e comitati di accoglienza folcloristici, e anche Emmanuel Macron quando è atterrato a Papeete è stato accolto con collane di Tiarè – arrivate appena dopo il test antigienico per verificare se qualcuno dei 150 passeggeri dell’airbus presidenziale dovesse essere positivo al SarsCoV-2.

Il Covid, ossia la lotta alla pandemia, è un tema della visita. Sia a uso interno, con l’esempio di Jenny Opuu citato dal presidente: una guaritrice che segue le regole della medicina tradizionale polinesiana ma davanti all’epidemia ha deciso di vaccinarsi e creare il buon esempio da seguire per i polinesiani. Utile come paradigma per un presidente che soffre nel suo paese un alto numero di scettici e cospirazionisti anti-vaccinali.

Contemporaneamente il tema della pandemia è un elemento che mette la Francia, che in qualche modo controlla quei territori distanti migliaia di chilometri dal 1840, davanti al fattore cruciale del momento: l’influenza crescente della Repubblica popolare cinese nella regione. Dopo il viaggio giapponese in occasione delle Olimpiadi, il messaggio di Macron è focalizzato sul legame tra la Francia e quel territorio strategicamente prezioso, dove la Cina non ha nascosto la sua spinta al dominio militare e commerciale.

La visita del presidente (la Polinesia francese “è governata liberamente e democraticamente, dai suoi rappresentanti”, ma è “un paese d’oltremare all’interno della repubblica”) è attesa da tempo. L’entourage dell’Eliseo la definisce “Tour de France” e la racconta come volontà di riaffermare “la nostra vicinanza ai territori d’oltremare”. Riaffermazione che serve soprattutto davanti a quella crescente influenza di Pechino.

La Cina è il più grande partner commerciale per i vicini dell’Indo-Pacifico, a loro volta desiderosi di trarre profitto dall’appetito del Dragone per componenti industriali e minerale di ferro, legname, petrolio e prodotti alimentari. Pechino però usa anche l’azione sui mercati per spingere a concessioni politiche i paesi con cui coopera. La Francia come gli Stati Uniti oppure il Giappone, il Regno Unito e altri governi temono che la Cina stia cercando di ottenere influenza nelle loro sfere strategiche.

La Cina guarda alla Polinesia secondo due interessi: il primo, diretto, è rappresentanti dalla ricchezza di pesci contenuti nei 4,8 milioni di miglia-quadrati della Zona economia esclusiva polinesiana (l’interesse per la pesca è enorme per un paese che ha necessità di sfamare la propria popolazione). Il secondo, indiretto, riguarda la capacità di esercitare la propria dimensione da potenza partendo proprio dalle regioni più prossime come quelle del Pacifico.

Simile l’interesse francese. Da un lato la difesa dei diritti in quei territori, nel caso la possibilità di sfruttare le proprie risorse senza il peso delle attività di interferenza e pressione cinese. Dall’altro, come detto, il viaggio di Macron è legato alla determinazione della Francia di mostrare il suo potere nell’Indo-Pacifico, risorsa a lungo termine. In questo caso l’interesse si sdoppia, perché per Parigi la ristrutturazione della propria impronta nella regione significa anche la possibilità di usare la stessa come moltiplicatore del suo ruolo nelle relazioni transatlantiche.

Gli Stati Uniti hanno particolarmente alzato l’attenzione su quel quadrante (che, come spiegava Giulio Pugliese, IAI, su queste colonne, ha un significato politico più che geografico). La presenza di Washington è giocata in ottica del contenimento cinese e mossa in partnership con i vari alleati alleati regionali. Ma l’obiettivo degli Usa è anche coinvolgere per quanto più possibile i partner transatlantici.

Il Regno Unito ha già risposto positivamente, l’ammiraglia della Royal Navy, la “HMS Queen Elizabeth“, transita in questi giorni davanti Singapore dopo aver scelto lo slancio verso l’Indo Pacifico nel suo primo dispiegamento operativo e aver annunciato una presenza permanente in Giappone. La Francia, in questa competizione tra amici degli americani, ha deciso di non mancare, sfruttando quella presenza e quegli interessi nazionali.

Lo scorso mese aerei da guerra Rafale hanno volato dall’Europa alla Polinesia francese in una dimostrazione di forza che Parigi ha voluto dare nell’ottica di un dispiegamento rapido simile a quelli pensati dal Pentagono, per proiettare capacità militare come nel caso dei Patriot in Australia. In precedenza, un sommergibile francese aveva partecipato nel Mar Cinese alle manovre congiunte tra Stati Uniti e altri paesi della regione.

Come successo con il referendum in Nuova Caledonia, a cui la Cina è stata interessata anche per il nichel (metallo centrale nella competizione dei nuovi materiali per la transizione energetica), la competizione Parigi-Pechino si gioca anche su questioni interne. Gli indipendentisti di Nouméa promuovevano un naturale avvicinamento alla Cina, e Pechino sposava più o meno direttamente certe istanze; allo stesso modo spalleggia le istanze dei polinesiani che chiedono alla Francia le scuse per i test nucleari degli anni Settanta.

Macron fornisce un’ammissione di responsabilità che ha un valore profondo. Serve a incontrare le richieste di Papeete, dove il tasso con donne malate di cancro alla tiroide è il più alto del mondo, a creare i presupposti per compensazioni economiche, a giustificare i finanziamenti alla sanità locale (operazione di sharp power in un terreno in cui Pechino potrebbe proporsi come alternativa). In definitiva serve per non perdere contatto con quei territori.

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