Incontri a Tripoli, Algeri e Rabat. Gli Stati Uniti cercano di spingere l’assistenza alla stabilizzazione in Libia, orientata a un quadro regionale più ampio, in cui Washington pensa al mantenimento degli equilibri per orientare sforzi e interessi altrove
Push americano in Libia e Nordafrica, mentre le crisi istituzionali a Tunisi e Tripoli diventano una moltiplicazione di instabilità in un territorio delicato, dove Washington controlla il flusso delle cose perché interessata agli equilibri regionali, all’influenza che gli stessi possono avere sugli alleati come l’Italia e alla possibilità che i rivali approfittino del caos prodotto dalla mutevolezza del contesto.
L’ambasciatore americano Richard Norland ha incontrato il premier libico, Abdelhamid Dabaiba, a Tripoli per “discutere delle nostre relazioni bilaterali e del sostegno degli Stati Uniti per portare a termine il lavoro del Gnu, il bilancio e il percorso verso le elezioni di dicembre su cui conta il popolo libico”. Questo è il resoconto del meeting secondo l’ambasciata statunitense.
Gnu è l’acronimo con cui viene indicato il Governo di unità nazionale libico che Dabaiba guida sotto egida Onu, dopo essere stato incaricato dal Foro di dialogo politico libico; un’assise che le Nazioni Unite hanno costruito per dare consistenza al cessate il fuoco raggiunto dopo l’ultimo conflitto tra Tripolitania e Cirenaica. Il compito che i 75 delegati libici del Foro hanno assegnato a Dabaiba, secondo un accordo con il Consiglio di Sicurezza dell’Onu, è quello di traghettare il paese fino alle elezioni già fissate per il 24 dicembre.
Gli Stati Uniti hanno più volte sottolineato la necessità di votare. Come spiegato su queste colonne da Daniele Ruvinetti (Med Or), gli Usa pensano che con un governo passato per le elezioni sarà più facile procedere all’implementazione della stabilizzazione. Su questa linea sta anche l’Italia, che in questi giorni fa da piattaforma negoziale per incontri intra-libici sulla legge elettorale, facendo leva sulla capacità politica di essere un attore di mediazione, come sottolineato da Giuseppe Dentice (CeSI).
Gli americani hanno un interesse su tutti: eliminare gli attori stranieri presenti in Libia, guardando soprattutto ai russi schierati sul lato della Cirenaica. Se per Washington era già preoccupante la presenza dei contractor del Wagner Group, tanto più lo è quella di piccoli nuclei di unità regolari che fonti dell’intelligence libica ultimamente segnalano ai media (anche a Formiche.net). Le elezioni non sono una panacea, c’è sempre il rischio che attori aggressivi possano non approvarne i risultati (vedere il ragionamento di Dario Cristiani, IAI), ma sono considerate unanimemente il passaggio necessario in questo momento.
Tanto più se si considera che il processo di stabilizzazione in corso sembra essere affiancato da realtà che intendono allungarne la condizione ibrida per trarne vantaggio. All’opposizione al voto corrispondono anche complicazioni mosse sulla riunificazione di istituzioni come la Central Bank of Libya, su cui sia l’Onu che anche gli Stati Uniti si sono mossi per chiedere altrettanta fermezza. Il rischio è che si proceda all’approvazione del bilancio citato da Norland passando da una richiesta emergenziale alla Banca centrale, mentre i parlamentari cercano di tenere in ostaggio il governo non concedendo il voto.
L’assistenza all’economia libica è individuata sia dall’Italia che dagli Stati Uniti come forma di supporto necessaria. Insieme a Norland c’era per esempio la Camera di commercio: “La tavola rotonda con AmCham è stata un’occasione per capire come le aziende americane possono collaborare con le aziende libiche e creare ulteriori opportunità economiche per i libici”. Tra queste, d’interesse la firma di un contratto per modernizzare la rete di telecomunicazioni in fibra ottica della Libia siglato tra la Libyan Phone Company (Hatif Libya) con la società californiana Infinera.
L’accordo – con una società il cui CEO uscente parlava di questa fase storica come “un’opportunità irripetibile” per le aziende che competono con Huawei – ha anche fine strategico. La stabilizzazione della crisi libica offre ampi spazi nella ricostruzione del paese, squarciato da un decennio di guerre. In questi spazi aziende di paesi come Cina, Russia e Turchia stanno cercando contratti. Per gli Usa si tratta di affari problematici a differenza di quelli portati avanti dalle società italiane, considerate attori con cui poter cooperare.
Il quadro a cui pensano gli americani è largo, la specificità libica diventa parte di una questione di carattere regionale che come detto si somma alla crisi tunisina, all’Algeria che è una polveriera costante e alle instabilità interne in Marocco. In questi stessi giorni, Joey Hood, assistente del segretario di Stato statunitense per gli Affari del Vicino Oriente, visita Algeri e Rabat. In ballo ci sono discussioni di carattere regionale (il primo volo commerciale diretto tra Israele e Marocco è atterrato a Marrakech lunedì 26 luglio, dopo la normalizzazione dei rapporti raggiunta tra i due paesi proprio per volontà di Washington attraverso gli Accordi di Abramo).
Tutto si tiene, in una regione come il Mediterraneo Allargato dove gli Stati Uniti tutelano un percorso verso la costruzione di un equilibrio e di una stabilità che è anche funzionale all’orientamento di sforzi verso altre aree del mondo come l’Indo Pacifico. Percorso che Washington vuole condividere con gli alleati, e su cui i rivali cercano di sfruttare spazi come forma di vantaggio diretto e di interferenza.
In questi giorni negli Stati Uniti c’è l’ammiraglio italiano Fabio Agostini, comandante dell’operazione “Irini” con cui l’Ue controlla l’embargo delle armi in Libia. Una visita per incontri con funzionari dell’amministrazione americana, rappresentanti europei e dell’Onu. Irini punta al rafforzamento di assetti e capacità, anche questi validi non solo nello specifico della missione ma anche come presenza europea nel Mediterraneo (potenzialmente agganciabile alle attività di AfriCom).