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Le difficoltà della Cia in Afghanistan spiegate da un ex, Bruce Riedel

Trent’anni nella Cia, ora alla Brookings. Bruce Riedel fa il punto sull’Afghanistan spiegando le colpe del presidente Biden e la difficoltà per l’intelligence. Anche perché il Pakistan…

Non usa tanti giri di parole Bruce Riedel, direttore dell’Intelligence Project della Brookings Institution, think tank presieduto dall’ex comandante delle forze Nato e americane in Afghanistan John Allen. Parlando con Formiche.net, è “fiasco” il termine che sceglie di usare per quanto accaduto in Afghanistan.

I responsabili sono nell’amministrazione Biden, ma anche in quella Trump. “Il presidente [Joe Biden] è il principale responsabile delle decisioni, quindi è lui ad avere la responsabilità di questo fiasco”, spiega. Poi punta il dito contro il segretario di Stato Antony Blinken, impegnato in questi giorni in una serie di telefonate con i Paesi alleati e partner per coordinare gli sforzi e rassicurare. “È responsabile della consultazione inadeguata con i nostri alleati della Nato e i partner afgani”, prosegue Riedel. Ma non solo: “È anche responsabile di aver mantenuto [Zalmay] Khalilzad nel processo di Doha dopo” che questi “aveva negoziato l’anno scorso il pessimo accordo con i Talebani, che non l’hanno mai rispettato”.

Origini afgane e impegnato dai tempi dell’amministrazione di George W. Bush nella “war on terror” americana come ambasciatore in Afghanistan, poi in Iraq e infine alle Nazioni Unite, Khalizad fu nominato dall’ex segretario di Stato Mike Pompeo come inviato speciale per l’Afghanistan. È stato lui a gestire per l’amministrazione Trump i negoziati di Doha. E, quasi a ribadire la volontà di proseguire nella direzione tracciata dalla precedenza amministrazione, il segretario Blinken l’ha confermato in quel ruolo.

In questi giorni è finito nel mirino delle critiche. In particolare per quanto dichiarato a metà maggio, un mese dopo l’annuncio del ritiro delle truppe americano entro l’11 settembre prossimo da parte del presidente Biden, durante un’audizione della commissione Affari Esteri della Camera dei Rappresentanti. Minimizzando le prospettive di una rapida ascesa dei Talebani dopo la partenza dei militari statunitensi aveva detto: “Se [i Talebani] perseguono, a mio giudizio, una vittoria militare, ne risulterà una guerra lunga, perché le forze di sicurezza afghane combatteranno, altri afghani combatteranno, i vicini verranno a sostenere forze diverse”. E ancora: “Credo che le dichiarazioni secondo cui le forze [afgane] si disintegreranno e i Talebani prenderanno il sopravvento in breve tempo siano sbagliate. La vera scelta che gli afgani dovranno affrontare è tra una lunga guerra e un accordo negoziato”.

Prima di entrare alla Brookings, Riedel è stato per tre decenni alla Cia, agenzia che ha lasciato nel 2006, ed è stato consigliere senior degli ultimi quattro presidenti degli Stati Uniti all’interno dello staff del Consiglio di sicurezza nazionale alla Casa Bianca.

Impossibile, dunque, non chiedere a lui che ne sarà delle attività d’intelligence americane. Già ad aprile su Formiche.net evidenziavamo i “rischi significativi”, così li aveva definiti l’attuale direttore della Cia William Burns, per le operazioni e gli operativi dell’intelligence a stelle e strisce in Afghanistan. E a giugno, parlando con Axios.com, il primo ministro pachistano Imran Khan, da sempre critico sulla collaborazione con gli Stati Uniti, aveva negato il territorio del suo Paese alla Cia suscitando la reazione un po’ incredula dell’intervistatore (“Seriously?”).

“Il fallimento del governo e dell’esercito afgani”, spiega Riedel, “è fatale per le nostre capacità di raccolta di controterrorismo. Senza alcuna presenza statunitense nel Paese saremo ciechi. Inoltre, dipenderemo molto dai pakistani per le informazioni sui Talebani e sugli altri gruppi, che non sono una fonte affidabile di informazioni”, aggiunge sottolineando un altro elemento: “Non è solo Al Qaeda che è una preoccupazione, Lashkar-e Taiba ha già una forte presenza in Afghanistan ed è molto vicino ai Talebani”.

“Il Pakistan è uno più stretto alleato della Cina, con ampia presenza nel Paese”, prosegue. E “Biden deve ancora telefonare al primo ministro Khan”, nota con una punta di delusione.

(Foto: Sharon Farmer)

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