Il governo centrale prova a disinnescare la mina che può dare origine a una crisi simile a quella del 2008, mettendo in vendita gli asset del colosso immobiliare insolvente per decine di miliardi e avviando un fallimento pilotato. Un film già visto, tre anni fa, con il gigante del real estate Anbang
Lo schema è di quelli già visti e non si poteva fare altrimenti. Anche la Cina ha i suoi spezzatini. Evergrande, il gigante dell’immobiliare indebitato e insolvente verso il mercato per decine di miliardi, verrà fatto a pezzi per evitare una detonazione che avrebbe gli stessi effetti di quelli sperimentati dagli Stati Uniti nel settembre del 2008, con il drammatico default di Lehman Brothers, madre di tutti i fallimenti e simbolo della crisi finanziaria.
A Pechino lo sapevano fin troppo bene che la bomba era pronta a esplodere, dando vita a una crisi sistemica del debito, già messo sotto pressione da mesi di sfiducia degli investitori e deprezzamento delle obbligazioni sovrane. Per questo qualcuno deve aver deciso di intervenire prima che fosse troppo tardi, utilizzando il canovaccio riservato, tre anni or sono, con un altro colosso ma forse meno strategico di Evergrande, il gigante del real estate, Anbang. E così, la principale società immobiliare cinese si avvia allo spezzatino, pur di rimborsare i creditori. Un fallimento pilotato, industriale e senza passare per i tribunali, ma pur sempre un crack che pone fine all’esperienza di Evergrande, almeno così come ci si è abituati a conoscerla.
Secondo Bloomberg, Evergrande avrebbe aperto formalmente le trattative per cedere alcuni asset di pregio ad alcuni investitori interessati. La notizia ha fatto schizzare il titolo quotato a Hong Kong (dove le azioni di un altro colosso in agonia, Huarong, sono tutt’oggi sospese) del 12%, segno che il mercato aspettava con ansia una qualche forma di soluzione al problema. In particolare, tra gli asset messi sul mercato, ci sarebbero Evergrande New Energy Vehicle ed Evergrande Property Services. Non è tutto. Come ha riferito Reuters in dismissione sarebbero finiti anche la maggior parte dei progetti di rinnovamento urbano di Evergrande nella città meridionale di Shenzhen.
Il precedente eccellente, come detto, è quello di Anbang. Tre anno fa, dopo una nazionalizzazione coatta, per salvare il salvabile, Pechino pretese la cessione di importanti asset detenuti all’estero. Tra questi, lo storico hotel Waldorf Astoria di New York, venduto a un prezzo di 2 miliardi di dollari e anche una diluizione nel capitale della catena alberghiera Hilton, di cui il gruppo cinese era azionista di maggioranza. D’altronde, il debito di Anbang ammontava a 100 miliardi di dollari e già per la prima metà del 2018 erano state preventivate dai commissari governativi, vendite di beni per 16 miliardi, tra cui numerose partecipazioni nel settore turistico e dell’aviazione. Ora la storia si ripete.