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Macron non lascia l’Indo-Pacifico, anzi raddoppia (e agli Usa va bene così)

Parigi va nell‘Indo-Pacifico per proteggere interessi nazionali diretti e proiettare la propria potenza come alternativa al confronto Usa-Cina

L’aggiornamento del documento di strategia per l’Indo Pacifico della Francia sembra arrivare in un momento particolarmente delicato per le ambizioni orientali dei Paesi europei. Nei giorni scorsi, parlando da Singapore, il capo del Pentagono, Lloyd Austin, aveva fornito in effetti una dichiarazione esplicita di ciò che Washington vorrebbe dalla divisione dei compiti in un’alleanza come quella transatlantica tra Usa e Ue. Per gli americani non è tanto necessario uno shift generale degli interessi strategici europei verso quel quadrante — considerato dagli Stati Uniti il primo anello di contenimento fisico all’ascesa cinese — ma piuttosto che i Paesi europei permettano un alleggerimento dei compiti Usa nelle aree geograficamente più prossime al Vecchio continente.

In parole povere, quello che era sembrato un rimprovero diretto alle ambizioni orientali della Global Britain, era piuttosto una richiesta chiara alle nazioni dell’Europa, invitate a concentrarsi maggiormente su quella regione (ampia, complessa, articolata e turbolenta) che l’Italia definisce Mediterraneo allargato e che gli americani definiscono area Mena. O ancora più sull’Africa, o sull’Atlantico del Nord con un occhio lungo verso l’Artico. Fasce di mondo che hanno un’enorme centralità e in cui si dipanano dinamiche geopolitiche che riguardano il cosiddetto Occidente (che con l’amministrazione Biden diventa in un concetto più allargato l’Alleanza delle Democrazie) e la competizione ingaggiata da attori rivali come Russia e Cina.

Farlo, senza sottovalutare però coinvolgimenti sull’Indo Pacifico. Un compito complesso. La Francia ha uno spazio per l’eccezionalismo. L’allungamento sull’Indo Pacifico è parte di un diretto interesse nazionale. Parigi, attraverso i Territori d’Oltremare, è attore e potenza indo/asia-pacifica. I dipartimenti di Mayotte e Riunione, le comunità della Nuova Caledonia e della Polinesia francese, i territori di Wallis e Futuna e le Terre australi e antartiche francesi sono parte della République, sotto l’Eliseo. Contemporaneamente usati come moltiplicatore per la proiezione internazionale francese. In grado di garantire tra l’altro 9 degli 11 milioni di chilometri quadrati di Zona economica esclusiva (la seconda al mondo per estensione) di cui gode la Francia. Dimensione che fa sì che la rete di interessi commerciali francesi nella regione contribuisca per un terzo al montante extra-Ue.

Tutto sostenuto da una presenza militare fissa, che sommando le ripartizioni nei vari territori arriva a settemila uomini; unica delle nazioni europee in grado di rivendicarla. In questo, gli interessi diretti francesi e americani coincidono per formato: entrambi riconoscono nell’ascesa della Cina un fattore in grado di alterare equilibri politici e militari che avevano guidato (a proprio vantaggio) nella regione dalla fine della Seconda guerra mondiale. Però Parigi, anche perché provvisto di questo basamento indo-pacifico, ambisce a un ruolo superiore: intende imporsi come alternativa potenziale a tutte le nazioni (grandi, India, Australia e perfino il Giappone, o minori) che temono di finire assorbite — o schiacciate — dallo scontro di potenze in atto tra Cina e Stati Uniti.

L’aggiornamento, annunciato nei giorni scorsi (gli stessi in cui il presidente Emmanuel Macron era in visita Polinesia) coincide anche con la richiesta europea di aggiornare le policy sulla Cina dell’Ue, dove la Germania è sicuramente più aperta alla ricerca del contatto economico, mentre la Francia sembra più disposta a discutere prioritariamente il piano geopolitico delle relazioni. Sebbene anche Berlino sembra aver percepito l’urgenza di una presenza indo-pacifica — anche per ridurre la dipendenza dalle sue catene di approvvigionamento — e scelga di inviare la fregata “Bayern” in una missione da sei mesi nella regione. Missione che però è mossa anche con senso non belligerante nei confronti della Repubblica popolare, tant’è che la nave intende far visita al porto di Shanghai. Non nel pieno del senso dell’impegno richiesto dagli Stati Uniti nel teatro Info Pacifico. Washington invece potrebbe accettare la costruzione di un terzo polo francese (con cui Parigi si intesterebbe la strategia Ue), a patto che questo non cerchi sponde tra le acque del Dragone.

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