Alla viglia dell’insediamento di Raisi a Teheran, il senatore pentastellato e presidente della Commissione Esteri ricorda in Senato la sua missione ufficiale del 2019. Una critica alla decisione di mandare i diplomatici e non i politici alla cerimonia?
Dopo il sì della Camera alla risoluzione del governo sulle missioni internazionali, ieri è arrivato anche quello Senato. Ad annunciare il sì del Movimento 5 Stelle, respingendo anche le critiche di alcuni ex come Gregorio De Falco che assieme a Emma Bonino chiedeva di bloccare sia i finanziamenti alla Guardia costiera libica, è stato Vito Petrocelli, un fedelissimo di Beppe Grillo, presidente della commissione Esteri di Palazzo Madama.
Il senatore si è espresso a favore anche della missione nello Stretto di Hormuz, “per la stessa logica con la quale negli anni 1987-1988, in pieno conflitto tra Iran e Iraq, il ministro degli Esteri di allora, Giulio Andreotti, incontrava il ministro degli Esteri della Repubblica islamica iraniana Ali Velayati più e più volte a Fiumicino”.
Ecco come ha proseguito Petrocelli al Senato ricordando il suo incontro con l’ex ministro, oggi consigliere dell’ayatollah Ali Khamenei.
Lo ricordo, lo scrivevano i giornali italiani, ma me l’ha ricordato lo stesso Velayati, che ho incontrato nell’aprile del 2019, durante una missione ufficiale autorizzata dalla presidente [del Senato Maria Elisabetta Alberti] Casellati in Iran, a testimonianza di quel modo particolare di fare politica estera italiana. E questo modo particolare è quello di essere presenti senza pregiudizi in tutti gli scenari e lo faceva Giulio Andreotti da ministro degli Esteri incontrando Velayati a Fiumicino. Velayati perdeva cinque ore prima di recarsi a New York all’Assemblea delle Nazioni Unite per scambiare con Andreotti impressioni – questo me l’ha raccontato Velayati – che l’Italia non poteva avere se non da un confronto diretto e ricevere dal ministro degli Esteri italiano impressioni che quella parte del mondo non avrebbe potuto ricevere direttamente. Poi naturalmente Andreotti riferiva agli alleati occidentali, come è giusto e doveroso che fosse. Tuttavia, contrariamente a quanto alcuni colleghi in quest’Aula hanno ribadito più volte, non c’era assolutamente una chiusura nei confronti del dialogo con un Paese che già allora era considerato pericoloso per la stabilità internazionale, tant’è che in quei mesi gli Stati Uniti bombardarono le piattaforme petrolifere proprio al largo dello Stretto di Hormuz e nello stesso tempo il nostro Paese dialogava con i rappresentanti politici della Repubblica islamica dell’Iran.
Questo è il modo italiano di fare politica estera e lo dobbiamo ribadire ancora una volta, perché io ritengo che oggi il nostro Paese debba essere saldamente ancorato nelle alleanze economiche e militari, saldamente parte del processo di riunificazione (in senso vero) dell’Unione europea, ma non deve perdere quelle caratteristiche che ne hanno fatto una media potenza che ha saputo dialogare nel tempo anche con chi non era vicino ai propri interessi nazionali.
La missione Emasoh a Hormuz è stata uno dei temi affrontati nel recente incontro, in videoconferenza, tra la commissione Esteri del Senato e quella Sicurezza nazionale e politica estera del Majles, il Parlamento iraniano. Il presidente di quest’ultima, Vahid Jalalzadeh, aveva spiegato che un eventuale intervento italiano nel Golfo “non avrebbe una buona impressione nell’opinione pubblica iraniana”. Tuttavia, il deputato iraniano ignorava probabilmente il fatto che l’intervento italiano non sia “eventuale”, bensì deciso all’interno della missione Emasoh, come spiegato su Formiche.net allora, quando raccontammo di un’audizione “riparatoria”.
Ma un altro passaggio del senatore pentastellato è di grande attualità, visto che l’intervento è stato pronunciato alla viglia della cerimonia di giuramento del nuovo presidente iraniano, il “conservatore” Ebrahim Raisi. Il riferimento di Petrocelli alla sua missione ufficiale in Iran del 2019 “autorizzata dalla presidente Casellati” sembra una frecciata alla decisione contro cui nei giorni scorsi egli si è scontrato, ossia quella delle istituzioni italiane di partecipare all’evento di Teheran, come gli altri Paesi europei, con una delegazione esclusivamente diplomatica, come rivelato da Formiche.net.
Nel 2017, in occasione del secondo insediamento del “moderato” Hassan Rouhani, l’Italia inviò una delegazione anche politica che comprendeva l’allora sottosegretario agli Esteri Vincenzo Amendola. L’Iran di Rouhani sembrava potesse uscire dalla condizione di Stato-paria agli occhi dell’Occidente, quello di oggi sembra destinato a rimanerci anche per via del filo rosso che lega presidente e Guida suprema. E così, dopo la decisione delle istituzioni italiane, Senato compreso, sono risultati vani i tentativi di Petrocelli di partecipare in missione ufficiale alla cerimonia di quest’anno assieme ad altri due colleghi.
Nei giorni scorsi Israele ha duramente criticato l’Unione europea per aver deciso di inviare un alto funzionario all’evento del presidente iraniano, definito da Gerusalemme “il macellaio di Teheran”. Si tratta di Enrique Mora, direttore degli Affari politici della diplomazia dell’Unione europea.
Lo stesso ruolo che ricopre in Italia l’ambasciatore Pasquale Ferrara, atteso alla cerimonia assieme all’ambasciatore a Teheran Giuseppe Perrone. L’ambasciata israeliana a Roma è impegnata in questi giorni in una battaglia mediatica contro Raisi ma non si è espressa sulla partecipazione italiana. Forse perché, notavamo su Formiche.net, potrebbe ritenersi già soddisfatta dalla scelta italiana in quest’occasione se paragonata a quanto deciso quattro anni fa.