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Mps, Maastricht e l’agenda di Mario Draghi. L’autunno secondo Nicola Rossi

L’economista, docente ed ex presidente dell’Istituto Bruno Leoni: non serve scrivere una nuova agenda, quella che c’è è ancora valida, basta solo attuarla. Abolire l’Irap è sacrosanto, ma la vera priorità è la semplificazione fiscale. I vecchi vincoli di bilancio non hanno più senso, la pandemia ci ha insegnato che senza regole non si sopravvive. Mps? Sarebbe ora di chiarire se i contribuenti ci rimetteranno ancora…

Addio estate, è tempo di pensare all’autunno, stagione tradizionalmente difficile e mai noiosa se il metro di misura è l’agenda economica italiana. Mentre i palazzi romani un poco alla volta tornano a popolarsi e il caldo di Ferragosto, complice le giornate più corte, sembra solo un ricordo, il governo italiano prova a riorganizzare le idee. Sul tavolo ci sono i primi 25 miliardi elargiti dall’Europa, frutto di quel Pnrr che reca la firma di Mario Draghi. E c’è da augurarsi che i bersagli vengano centrati. Formiche.net ne ha parlato con Nicola Rossi, economista di lungo corso, con un passato da parlamentare dem e ai vertici dell’Istituto Bruno Leoni.

Quasi due mesi or sono l’Europa ha sbloccato i primi 25 miliardi di euro frutto del Pnrr made in Italy. A questo punto è lecito porsi il problema di avere in mente un’agenda di governo ben chiara e definita. Da dove partiamo?

Così posta la domanda presuppone che un governo si dia una agenda se e solo se ci sono dei soldi da spendere. Così non è e così non dovrebbe essere soprattutto per un governo come quello attuale al quale si chiede di fare quelle cose il cui costo non è necessariamente monetario ma soprattutto politico e che esattamente per questo motivo sono rimaste inevase per anni se non per decenni. Ricade in questo ambito tutto ciò che ha a che fare con il funzionamento della Pubblica amministrazione. Ma non solo: si pensi ad esempio alla concorrenza.

Chiaro. Ma allora niente agenda?

Da questo punto di vista non penso che il governo – visti i primi fondi europei – debba oggi riscrivere la sua agenda. Quella che aveva prima dell’estate è ancora valida e lungi dall’essere completata.

Di certo non può mancare un intervento sul Fisco. Parlare però oggi di riforma fiscale, sembra quasi stucchevole. Eppure il riassetto tributario è verosimilmente una dei prossimi cantieri. Si parte dall’abolizione dell’Irap, un buon punto di partenza?

Non credo che il riordino del sistema fiscale delineato dalle Commissioni Finanze di Camera e Senato, che costituirà verosimilmente il punto di riferimento del disegno di legge delega, possa ridursi alla sola abolizione dell’Irap. Anche se – sia chiaro – l’abolizione di una imposta incompresa ed incomprensibile come l’Irap ne costituisce un elemento qualificante.

C’è un’altra priorità?

Credo che il punto di partenza debba essere il principio ispiratore di quella ipotesi di riordino e cioè l’idea che sia possibile – ed in questa fase storica indispensabile – disporre di un sistema fiscale orientato alla crescita. Ed è un principio che può essere utilizzato per ridisegnare aspetti diversi del nostro fisco: l’imposizione sui redditi delle persone fisiche, ad esempio, oltre che quella sui redditi delle persone giuridiche.

Rossi in Europa c’è chi, come l’Austria, sogna un ritorno del Patto di Stabilità vecchio stampo, con un’applicazione letterale dei dettami di Maastricht. Allora la pandemia non ci ha insegnato nulla…

Come no! La pandemia ci ha insegnato che può piovere, anzi grandinare, quando meno ce lo aspettiamo e che è pertanto irresponsabile non mantenere, quando non piove, quella disciplina di bilancio che sola può consentirci di affrontare – senza affanni – eventi avversi, se non proprio catastrofici, quando si verificano. Tornare alle regole di bilancio oggi sospese mi sembra sconsigliabile essenzialmente perché si tratta di regole che non hanno funzionato. Sono regole che esprimono, per molti versi, la debolezza e la limitatezza delle nostre conoscenze macroeconomiche (e valga per tutti il riferimento all’output gap).

Ma…?

Ma, nell’attuale condizione dell’Unione europea, di regole di bilancio, più semplici, possibilmente, e centrate sulla dinamica della spesa ancor prima che sui saldi di bilancio, abbiamo ed avremo bisogno. Anche se l’Europa si dotasse, come sarebbe opportuno se non proprio necessario, di una propria capacità di bilancio in grado di consentirle una autonoma condotta della politica fiscale a livello, quanto meno, dell’area dell’euro.

Il dossier finanziario dell’estate è la cessione di Mps a Unicredit. La strada maestra è proprio la soluzione di mercato-industriale. Ed è davvero l’unica?

A questo punto non so francamente se ce ne siano altre. L’idea, che è stata anche autorevolmente avanzata, è che sia una soluzione in grado di attenuare il costo per i contribuenti. Francamente non so se così sia e, come contribuente, mi piacerebbe che si avvertisse il dovere di dimostrarlo dati alla mano ai contribuenti stessi comparando anche questa soluzione ad altre oggi forse non più praticabili. I paletti – occupazionali, territoriali, e così via – che vengono via via posti non possono non implicare un costo per i contribuenti in senso lato ed il problema viene solo spostato e non certo risolto nel momento in cui si chiede ad entità di proprietà dello Stato (e cioè dei contribuenti) di farsi carico di questo o quell’aspetto del problema.

Su Mps ci sarebbe forse da ammettere qualche errore da parte della classe politica presente e passata?

Ripeto, non so se a questo punto siano proponibili o anche immaginabili altre soluzioni ma credo che chi ha responsabilità di governo dovrebbe avvertire il dovere di dimostrare di aver fatto quanto possibile per salvaguardare i contribuenti e chiarire se lo stesso può dirsi di chi lo ha preceduto. Temo che non accadrà.

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