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Lo Spazio che divide Francia e Germania. Il confronto sui lanciatori secondo Spagnulo

Lo Spazio non ha frontiere, almeno in teoria. Nella pratica europea emergono nuove linee di confine nel confronto (politico e industriale) tra Francia e Germania. Berlino da anni critica il ruolo predominante svolto da Parigi nella politica spaziale, in particolare sui lanciatori. Su questo tema lo scontro è aspro e l’Italia potrebbe trovarsi in scomoda posizione. L’opinione dell’ingegnere ed esperto aerospaziale

Il recente accordo tra i ministri dell’Economia tedesco e francese sui lanciatori spaziali (ne abbiamo parlato qui) rappresenta una base di lavoro iniziale, forse però ancora lontana da una condivisione definitiva. A parte generiche dichiarazioni d’intesa che si esplicitano con la solita formula della “preferenza europea” da parte dei governi nell’acquistare servizi di lancio, uno dei veri punti dell’accordo è centrato sul sostegno all’avviamento del nuovo lanciatore Ariane 6. Nel 2014 gli Stati membri dell’Esa decisero di finanziarne lo sviluppo con l’ipotesi di effettuare da dieci a dodici lanci ogni anno, ma oggi questo target, forse troppo ambizioso fin dall’origine, appare irrealizzabile sia per la concorrenza spietata e sia per il calo di ordinativi per grandi satelliti geostazionari.

Il compromesso franco-tedesco, a cui in qualche modo dovrebbe poi aderire anche l’Italia, sarebbe quello di sostenere con almeno 140 milioni di euro annui una fase di avviamento, della durata di sei anni, del nuovo vettore, il cui lancio inaugurale è previsto per il prossimo anno. Questo supporto permetterebbe un equilibrio con sette lanci l’anno di cui quattro governativi e tre commerciali. E non si tratterebbe di una novità visto che già una ventina di anni fa gli Stati europei finanziarono il programma Esa-Egas (European guaranteed access to space) per evitare il fallimento dell’industria dei lanciatori.

In cambio di questo nuovo aiuto di Stato, i tedeschi avrebbero avuto il via libera a sviluppare dei piccoli vettori (ne abbiamo parlato qui), denominati “micro-lanciatori”, purché questi non entrino in concorrenza diretta con Ariane 6 sui satelliti di media-grande taglia. E già qui per l’Italia le nubi si addensano dato che il lanciatore Vega, ma soprattutto il suo derivato Vega E, ha una taglia intermedia proprio tra l’Ariane e i nuovi “micro lanciatori” tedeschi, e quindi rischia di trovarsi in concorrenza con entrambi sia sul lato inferiore sia sul superiore delle sue performance.

A Parigi poi non fanno mistero di temere la concorrenza del Vega e un rapporto del parlamento francese pubblicato nel 2020 (consultabile qui) recitava testualmente “la sovrapposizione tra le prestazioni di Ariane 6 e quella del lanciatore leggero Vega C dovrebbe essere molto limitata; tuttavia, questo equilibrio potrebbe essere messo in discussione da un aumento delle prestazioni della nuova versione Vega E; il mercato istituzionale europeo è insufficiente per consentire una situazione del genere, di conseguenza, il gruppo di lavoro raccomanda la massima cautela sul programma Vega E, che dovrebbe limitarsi a ridurre i costi senza aumentare le prestazioni del lanciatore”. Un’analisi delle conseguenze di tali posizioni non può non rinviarci al confronto franco-tedesco in atto.

La Germania vuole tornare in primo piano nella politica spaziale europea che sin dal dopoguerra è sempre stata decisa dalla Francia la quale, secondo Berlino, avrebbe privilegiato le grandi società di cui è azionista, come Thales, Airbus e Safran, che di fatto si sono spartite il mercato. Ma l’avvento del cosiddetto New Space (cioè il capitalismo privato statunitense e quello politico cinese nelle imprese spaziali) insieme all’accelerazione per il passaggio alla mobilità elettrica e tecnologicamente connessa stanno cambiando la situazione. Oggi, la Germania vorrebbe sviluppare nuove progettualità perché le sue aziende avranno molto presto bisogno di accedere ai servizi spaziali in modo pervasivo e diversificato.

Si stanno quindi scontrando due visioni: la Francia che desidera mantenere la situazione di sostanziale monopolio attuale, mentre la Germania vorrebbe introdurre una sorta di “concorrenza” sulla manifattura dei lanciatori e dei satelliti e persino sulle basi di lancio (non solo Kourou, ma anche Azzorre o Mare del Nord). Secondo Berlino, sia l’Esa  sia la Commissione di Bruxelles (dove il vero capo dello spazio europeo è il commissario Thierry Breton) sarebbero al servizio della visione francese.

In questo conflitto nemmeno troppo latente affiorano frustrazioni, rivendicazioni e nuove iniziative. Breton vorrebbe lanciare un progetto da vari miliardi di euro per una mega costellazione satellitare europea, su cui molti osservatori sono perplessi sia per la sua complessità nell’era della miniaturizzazione elettronica e sia per il fatto che in realtà il progetto sembra essere più una scialuppa di salvataggio per l’industria francese di lanciatori e satelliti che un reale investimento in tecnologie innovative adatte alle future esigenze del New Space. A Berlino poi non è stata presa bene il fatto che il costruttore tedesco OHB, che aveva fabbricato la prima generazione di satelliti Galileo, sia stato scartato per il contratto per la seconda generazione. Una decisione presa “a dispetto del buon senso” secondo le parole del deputato della Cdu Thomas Jarzombek al Bundestag.

La startup aerospaziale tedesca Polaris-Raumflugzeuge GmbH, sostenuta dal governo federale, progetta un nuovo sistema di lancio spaziale riutilizzabile e di trasporto ipersonico, uno spazioplano chiamato “Aurora” in grado di lanciare satelliti al di sotto dei mille chilogrammi decollando da piste convenzionali. Questo progetto interessa la Bundeswehr, l’esercito tedesco, che ha appena firmato un contratto di studio con Polaris.

E tornando all’accordo di principio sui lanciatori siglato dai ministri dell’economia di Parigi e Berlino, si è accesa un’ulteriore miccia quando sulla stampa d’oltralpe è stata pubblicata la notizia secondo cui una delle rivendicazioni tedesche per il sostegno finanziario all’Ariane 6 sarebbe il trasferimento industriale del sito francese di Vernon (assemblaggio e test del propulsore a liquido riaccendibile Vinci) a Lampoldhausen nel Baden-Württemberg, uno stabilimento fondato nel 1959 dal professor Eugen Sänger per testare i motori a razzo. Una richiesta che per Parigi equivale a una dichiarazione di guerra.

Il fatto è che il confronto politico e industriale si gioca sulle prospettive future. Nonostante i punti di forza dei giovani talenti delle start-up aerospaziali, Berlino teme che la configurazione politico-industriale del settore spaziale europeo, consolidata da quarant’anni e rimasta immutata, stia mettendo a rischio l’autonomia strategica tedesca. E ciò proprio quando la più grande azienda del Paese, Volkswagen, ha deciso di collegare in rete i suoi veicoli elettrici via satellite, proprio come vuole fare la Tesla Motors. Per questo sia gli industriali sia il governo tedesco cercheranno a tutti i costi di aggredire una quota di questo mercato cruciale innovando e diversificando gli sforzi. Non è detto che riescano nell’intento ma ci proveranno con tutta la forza economico-finanziaria di cui dispongono. Per l’Italia quindi il punto non è solo sostenere i lanciatori Vega e Ariane, quanto elaborare una strategia in grado di far sopravvivere il proprio settore industriale da qui al 2030 e non diventare un mero Paese contributore netto. A meno che questa non sia già di per sé una strategia. Speriamo di no.

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