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L’accordo tra Londra, Washington e Canberra fa infuriare Parigi. “Una coltellata”

Di Gabriele Carrer e Emanuele Rossi

Il governo francese ha reagito con stizza all’accordo sottomarino tra Australia, Regno Unito e Stati Uniti. Macron vuole che Parigi torni potenza globale, e non accetta l’esclusione dai dossier dell’Indo Pacifico, in cui si considera attore regionale direttamente coinvolto

“[Charles] De Gaulle avrebbe preparato una visita a Pechino”, scrive Gérard Araud, diplomatico francese in pensione, ex ambasciatore in Israele, alle Nazioni Unite e negli Stati Uniti, molto vicino al presidente Emmanuel Macron. “Ciò che colpisce è che l’amministrazione Biden non ha fatto nulla per attutire il colpo che stava infliggendo alla Francia. Nessuna consultazione, nessuna collaborazione, nessun risarcimento”, aggiunge.

Un altro diplomatico, Philippe Etienne, ex consigliere diplomatico del presidente francese e oggi ambasciatore negli Stati Uniti, rievoca il passato: “È interessante notare che esattamente 240 anni fa la marina francese sconfisse la marina britannica a Chesapeake Bay, aprendo la strada alla vittoria di Yorktown e all’indipendenza degli Stati Uniti”.

Non c’è dubbio: Parigi ha preso male – molto male, probabilmente anche peggio di Pechino – l’accordo tra Stati Uniti, Regno Unito e Australia.

“La scelta degli Stati Uniti di accantonare un alleato e partner europeo come la Francia da un partenariato strutturale con l’Australia, in un momento di sfide senza precedenti nella regione indo-pacifica (…) dimostra una mancanza di coerenza di cui la Francia non può che prendere atto con rammarico”, recita un comunicato congiunto dei ministri di Esteri e Difesa Jean-Yves Le Drian e Florence Parly. Il primo ha rincarato la dose all’emittente radiofonica pubblica France Info parlando di “coltellata alla schiena” e “fiducia tradita”.

L’intesa annunciata ieri, infatti, segna di fatto la fine dell’accordo sottoscritto dall’Australia con il colosso francese della cantieristica Naval Group. Siglato nel 2016, il deal prevedeva la costruzione di una nuova flotta di sottomarini d’attacco per l’Australia al prezzo di 40 miliardi di dollari. Sin dal principio, però, il contratto è stato segnato da ritardi e numerosi problemi di natura tecnica, anche per la difficoltà di Francia e Australia nel concordare i siti di produzione delle componenti dei sottomarini.

La prima difesa di Canberra è arrivata da Londra. Intervistato da Sky News, il ministro della Difesa britannico Ben Wallace ha spiegato che “l’Australia ha preferito venir meno all’accordo per approfittare dell’opportunità di utilizzare il nucleare in altro modo”. E ancora: “Non abbiamo alcuna intenzione di indispettire la Francia, che è una dei nostri maggiori alleati in Europa, abbiamo in piedi progetti militari insieme e interessi comuni”. Infine: “Ogni Paese fa le sue scelte anche a seconda degli interessi della propria sicurezza nazionale”.

Proprio questa frase apre un interrogativo: può la Francia, principale sostenitrice di una maggiore autonomia strategica europea in risposta ad alcuni interessi divergenti tra i 27 e gli Stati Uniti – e tra i primi critici delle modalità “unilaterali” del ritiro statunitense dall’Afghanistan – lamentare la mancanza di coordinamento da parte americana?

Piuttosto, l’accordo annunciato ieri, mercoledì 15 settembre, sommato al primo summit in presenza dei leader Quad (Stati Uniti, Australia, Giappone e India) che si terrà il prossimo fine settimana, potrebbe rafforzare la spinta francese per una difesa comune europea. Come annunciato ieri dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, proprio durante il semestre di presidenza francese del Consiglio dell’Unione europea, con cui si aprirà il 2022, si svolgerà un summit sulla difesa europea.

Per Parigi l’Europa è un moltiplicatore di forza. Spazio da usare per proiettare la propria influenza geostrategica, allineando i vari partner e alleati. L’autonomia strategica diventa una sorta di necessità per veicolare meglio i propri interessi. La Francia ambisce a essere il partner di riferimento per le potenze extra-europee, in particolare gli Stati Uniti, ma anche il Regno Unito post-Brexit e il mondo dell’Indo-Pacifico, a cominciare dall’Australia appunto.

Per questo soffre l’esclusione. I francesi si percepiscono come potenza globale, eccezionalista rispetto alla traiettoria comune di Bruxelles (semmai da piegare sui propri obiettivi, come detto). Inoltre, con particolare riferimento al quadrante orientale, la Francia si vede come attore regionale, non come potenza esterna. D’altronde Parigi ha nell’area i Territori d’Oltremare sotto l’Eliseo (recentemente Macron è stato in Polinesia, mentre la Nuova Caledonia ha votato pochi mesi fa per restare francese).

Sotto questo punto di vista, si sente chiamata in causa riguardo a tutte le dinamiche dell’area: vuole essere presente con la ragione di difendere un interesse nazionale diretto (ragione per cui ha sempre aperto alle missioni nel Mar Cinese Meridionale, volte a mostrare bandiera davanti alla Cina, principale agente di interferenza nella regione), sebbene l’obiettivo sia più vasto. L’accordo australiano è un colpo problematico per Macron, per le sue ambizioni di alzare l’impegno in quel quadrante politico dell’Indo Pacifico, per il suo piano di crearsi nell’area un ruolo da potenza alternativa a Cina e Usa.


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