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Gli Usa non escludono di usare le basi russe per intervenire in Afghanistan

Secondo il Wall Street Journal, russi e americani si parlano per pianificare la gestione condivisa delle attività anti-terrorismo legate al ritorno dei Talebani. L’idea sarebbe partita da Putin nel bilaterale con Biden a Ginevra. È la cooperazione che l’Italia eleva a discussione del G20

Washington e Mosca stanno parlando della possibilità di usare in maniera congiunta basi russe in Asia Centrale per monitorare e combattere le forze terroristiche che potrebbero rafforzarsi sotto l’amministrazione talebana in Afghanistan. Lo scoop l’ha fatto il Wall Street Journal, che è venuto a conoscenza di una conversazione aperta dal capo dello Stato maggiore congiunto, il generale Mark Milley, con il capo delle Forze armate russe, Valery Gerasimov.
Sarebbe stato l’americano a sondare il terreno su indicazione del Consiglio di sicurezza nazionale, dunque della Casa Bianca, che voleva andare a vedere se non fosse un bluff l’offerta lanciata da Vladimir Putin durante il meeting del 16 giugno con Joe Biden — ai tempi non c’era una contingenza specifica, sebbene la caduta afghana era già all’orizzonte, ma il russo aveva messo sul piatto l’idea di ospitare gli americani nelle proprie basi per attività di anti-terrorismo congiunte.
Per ora, gli Stati Uniti usano basi nella regione del Golfo, tra cui quelle in Qatar e negli Emirati Arabi Uniti. I droni e gli altri aerei devono volare da diverse centinaia di chilometri di distanza per coprire il teatro afghano, limitando la quantità di tempo in cui possono soffermarsi su potenziali obiettivi e la rapidità di azione. Per questo i funzionari statunitensi hanno anche guardato all’Asia centrale per basare droni e altri aerei. Anche se si è ritirata dal paese, Washington intende mantenere una capacità di azione (veloce, efficace, precisa) contro le forze terroristiche. In gergo tecnico il Pentagono le chiama attività “over-the-horizon”, e sono fondamentali per contrastare la costante (crescente?) minaccia di gruppi come al Qaeda o lo Stato islamico, ancora attivi nell’area.
Si tratta di una realtà considerata come prioritaria anche dalla Russia, che teme dinamiche di instabilità securitaria in quella che è una sua sfera di influenza storica, l’Asia Centrale. La destabilizzazione regionale è un problema comune dunque; uno di quelli a riflesso quasi globale che Russia e Stati Uniti individuano come terreno di contatto in cui agire insieme? D’intralcio potrebbero esserci questioni tecniche soprattutto a Washington, che Milley e il segretario alla Difesa Lloyd Austin potrebbero affrontare in questi giorni in audizione al Congresso, visto che dopo l’aggressione all’Ucraina i legislatori hanno votato una legge che impedisce cooperazioni militari russo-americane finché i primi continueranno a occupare la Crimea — ossia per sempre, e per questo il Pentagono si è garantito di prevedere una serie di eccezioni pragmatiche.
Al di là della sfera tecnica (burocratico-legislativa o militare) il peso politico di un eventuale accordo è piuttosto importante. L’eventuale cooperazione tra Usa e Russia segue la traiettoria che l’Italia sta cercando di tracciare riguardo alla crisi afghana, ossia quella del multilateralismo globale. Roma intende elevare la questione in sede G20, che presiede, attraverso un meeting speciale che includerebbe molte delle forze più direttamente (o più indirettamente) interessate a quanto succede e succedere attorno all’Afghanistan.
Contemporaneamente, per Washington la cooperazione con la Russia, sebbene su un dossier limitato, significherebbe tagliare fuori la Cina; ossia avrebbe un significato di carattere strategico molto più importante del contesto tattico. Con tutti i rischi del caso: si ricorderà che tempo fa erano uscite informazioni su collegamenti tra Talebani e intelligence militare russa per danneggiare le forze americane in Afghanistan, per esempio.
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