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Quale autonomia strategica per l’Europa dello Spazio

Anche al Forum di Cernobbio si è parlato di autonomia della politica industriale europea e di sovranità tecnologica. Il ministro francese, Bruno Le Maire, relatore di un intervento ha ammonito sulla necessità di un comune approccio strategico in alcuni settori cruciali, tra cui lo Spazio. L’opinione dell’ingegnere ed esperto aerospaziale Marcello Spagnulo

“L’Europa è a un crocevia: vogliamo tornare al passato o cambiare per il meglio? Noi abbiamo fatto la nostra scelta: vogliamo più crescita, un’Europa migliore quando la pandemia sarà superata”. Lo ha detto al Forum di Cernobbio Bruno Le Maire, ministro francese, un vero plenipotenziario che, in pratica, racchiude nel suo dicastero dell’Economia, Rilancio e Finanze le competenze che nell’esecutivo italiano sono assegnate a Mef, Mise, Mitd e Mite.

Detto ciò, le sue recenti parole sono state in linea con quanto egli ripete dall’inizio del suo mandato, declinando in più occasioni il tema della convergenza industriale in vari settori, tra cui quello spaziale. E proprio sullo Spazio il ministro è stato esplicito nel suo intervento. “Bisogna definire le priorità strategiche europee – ha affermato – proprio come hanno fatto i cinesi tessendo la tela globale della Via della seta, o gli americani che si muovono rapidamente verso la seconda conquista dello Spazio”.

Secondo Parigi, la strategia per giungere a un’autonomia europea passa per l’individuazione dei settori cruciali: intelligenza artificiale, Spazio, semiconduttori, biotecnologie, farmaceutica, ecc. Poi, per la creazione di un mercato unico dei capitali. Infine, sull’integrazione e diversificazione delle filiere industriali tra i Paesi europei. Poiché nessuno di essi da solo ha risorse sufficienti per essere competitivo, la cooperazione è indispensabile e Le Maire a Cernobbio ha citato come modello di questa forma di collaborazione il lanciatore spaziale di nuova generazione su cui Francia, Germania e Italia avrebbero trovato un accordo politico. Il ministro francese non ha però fatto riferimento al razzo Ariane 6 in corso di sviluppo all’Esa e che dovrebbe volare per la prima volta il prossimo anno, ma a quello che dovrà sostituirlo dopo il 2030 e che è tutto da progettare.

Il dibattito, talora dai forti tratti ideologici, sul futuro della strategia industriale europea si dipana in parallelo con quello, in qualche modo complementare, a cui stiamo assistendo in questi giorni sull’esercito europeo di difesa, definito però da autorevoli osservatori come il generale Leonardo Tricarico “fantomatico quanto irrealistico” (qui il commento). In pratica, tutti concordano a parole sull’importanza di un approccio comune, condiviso e nel rispetto delle prerogative nazionali. Eppure, nella realtà i diversi Paesi mantengono priorità differenti anche perché, come sottolinea Tricarico, l’impulso strategico è quasi sempre (soprattutto in Italia, ndr) nelle mani delle varie industrie di settore, le quali sono mosse da parametri di valutazione non sempre coincidenti con quelli di lungo periodo di una nazione, ma con quelli di bilancio annuale.

Parlando di un ipotetico esercito comune europeo non ha senso pensare alla mera somma di singole capacità nazionali, ma occorre bensì definire una dottrina di impiego della forza armata, e allo stesso modo una coerente dottrina spaziale europea dovrebbe definire la programmazione di lanciatori e satelliti adeguati al contesto internazionale e alle concrete esigenze. Parigi punta a dei campioni industriali, cioè a imprese europee integrate capaci di competere con quelle americane e cinesi. Tuttavia, i Paesi medio-piccoli dell’Ue non hanno imprese di grande taglia o economie di scala paragonabili a quelle francesi e tedesche, e quindi interpretano questa politica industriale come una forzatura del blocco egemone.

L’Italia è nella non invidiabile posizione di grande Paese, subito dopo Francia e Germania, prima di altri stati. Ciò è plasticamente visibile nel settore spaziale e in particolare nei lanciatori che sono pilastro imprescindibile di ogni concetto di autonomia strategica. L’Italia nel triennio 2020-2022 è stata il terzo Paese contributore dell’Esa, finanziando il 16% il budget totale, pari a 14,4 miliardi di euro, dopo la Germania, al 23%, e la Francia al 18,5%, e prima del Regno Unito all’11%, che però è uscito dall’Unione. Il dato non deve essere letto solo numericamente.

Vent’anni fa il governo italiano decise di investire in Esa quasi un miliardo di euro per lo sviluppo del piccolo lanciatore Vega, a cui seguirono finanziamenti per oltre cento milioni annui a supporto dell’intera filiera industriale, incluso il vettore Ariane, lo stesso razzo che il ministro Le Maire vuole sostituire con un veicolo di futura generazione che garantisca l’autonomia strategica europea, secondo quanto dichiarato a Cernobbio. Bisognerebbe però definire la “dottrina di impiego” di tale lanciatore, perché in senso lato anche gli attuali garantiscono la suddetta autonomia. Un deputato francese, Philippe Latombe, ha dichiarato al sito Euractiv che “la definizione di sovranità della Francia è la capacità di fare una scelta, di scegliere le dipendenze e di mantenere permanentemente questa capacità”.

Nel caso dei lanciatori spaziali questo è ciò che avviene da oltre quarant’anni con i vettori Ariane. Quindi, pensare che oggi l’ideologia della “autonomia strategica” porti a un nuovo rivoluzionario cambio di paradigma e di innovazione può risultare fuorviante. Certo, la tecnologia evolve e quella sviluppata dai competitori, statunitensi in particolare, può stravolgere il mercato; allora si deve parlare di “sovranità tecnologica”, cioè della capacità di saper realizzare sistemi in grado di reggere il confronto, pena la progressiva irrilevanza. Ma la definizione delle priorità di tali sistemi risiede nella loro intrinseca capacità di deterrenza militare e di competitività commerciale.

Secondo il generale Tricarico il velivolo da combattimento di sesta generazione è remunerativo per le industrie che ambiscono a programmi con alta redditività, ma non sarebbe prioritario nella lista delle capacità necessarie, quali ad esempio droni, aeromobili ad alta permanenza sugli obiettivi, piattaforme C4/Istar e capacità satellitari avanzate. E del tutto parimenti si potrebbe pensare del lanciatore europeo di futura generazione richiamato da Le Maire come modello di innovazione europea. Non è detto che inseguire i competitori a tutti i costi sia la via migliore quando il divario si è fatto troppo ampio. L’attuale flotta europea di lanciatori è comunque affidabile per sostenere l’accesso europeo autonomo allo Spazio. Ovviamente va fatta evolvere, ma i veicoli di lancio, quantomeno in Europa, restano per ora un mezzo e non un fine in sé. A meno che il loro uso intrinseco non muti in qualcosa di diverso dall’attuale, si tramuti cioè in un mezzo di trasporto più ampio e diversificato, dalle potenzialità per esempio rappresentate in modo mediatico dal cosiddetto turismo spaziale, ma non limitate a esso. Ovvio che in quest’ottica di prospettiva l’autonomia strategica assume tutt’altro significato, oggi non dichiarato.


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