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Così la guerra cinese al Fintech diventa un boomerang da 3mila miliardi

La repressione cinese ai danni delle grandi aziende tecnologiche si è tradotta per il Dragone in perdita di investimenti, Ipo saltate e fatturati polverizzati. E ora anche Tencent delocalizza. Intanto gli Usa provano a bloccare l’acquisizione cinese della coreana Magnachip Semiconductor…

Prima o poi doveva arrivare, il conto. Salato come non mai. Sette mesi e passa di guerra senza esclusione di colpi all’industria del Fintech hanno creato il primo vero problema alla Repubblica Popolare, ovvero la perdita di non meno di 3 mila miliardi di dollari in termini di valore di mercato andato perduto. Investimenti bloccati, capitali fuggiti, fatturati polverizzati, multe pagate (Alibaba oggi in Borsa capitalizza la metà del suo valore dello scorso anno), tutto nel nome del controllo asfissiante sulla tecnologia applicata alla finanza.

I conti li hanno fatti alcuni esperti contattati dalla Cnn. La repressione cinese ad oggi è costata a Pechino non meno di 3 mila miliardi di dollari. E c’è chi ha paragonato la crociata di Xi Jinping contro il Fintech alla rivoluzione culturale messa in atto da Mao, tra l’inizio degli anni 50 e il 1976. I numeri sono sono lì a testimoniarlo, anche se si tratta di una rivoluzione in versione Terzo Millennio. Le azioni della società cinese Didi, in questi mesi non hanno mai più raggiunto il prezzo fissato ai tempi dell’Ipo.

Per non parlare di Tencent, il gigante tech che sta mettendo in atto qualcosa di molto simile a una prima delocalizzazione, registrando ben 16 accordi in Europa, portando il suo totale di investimenti internazionali per il primo semestre dell’anno a 34. E pensare che nello stesso periodo del 2020 erano stati quattro e nel 2019 tre. D’altronde, tra le ultime strette del Dragone alle grandi aziende tecnologiche figurano le nuove regole introdotte dalle autorità regolatorie in merito all’accesso al gaming online per i minori, di fatto autorizzato soltanto per tre ore alla settimana. Proprio questo settore è infatti quello in cui Tencent ha più investito in Europa in questo primo semestre. Miniclip, controllata di Tencent nel Regno unito, ha acquisito il programmatore di giochi olandese Gamebasics a gennaio e poi, in Romania, la Green Horse Games.

Nonostante questa emorragia di capitale, a Pechino non sembrano averne abbastanza. La Banca popolare cinese proprio in questi giorni ha comunicato al mercato l’obbligo di essere informata di tutti i nuovi prodotti e di tutte le operazioni – a partire dal collocamento in borsa – delle app di finanza online, come Alipay di Ant Group (Alibaba). La direttiva emessa dalla banca centrale impone agli operatori fintech di comunicare tutte le questioni rilevanti in materia di business in maniera preventiva e non a cose fatte. Tra le informazioni significative di cui si richiede informazione anticipata, oltre ai collocamenti in borsa e i nuovi prodotti, anche gli accordi con servizi di pagamento internazionale e le partnership con aziende straniere. Inoltre ricadono in questo obbligo anche l’apertura di entità offshore e investimenti oltre una certa cifra.

Intanto si surriscalda ulteriormente il fronte dei chip, complice la crisi globale che sta mettendo in ginocchio molte industrie. Gli Stati Uniti infatti sono pronti a bloccare la fusione tra il gruppo di private equity cinese Wise Road Capital e la coreana Magnachip Semiconductor Corp per 1,4 miliardi di dollari. E questo perché il Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti, in una lettera al consulente legale della società lo scorso venerdì, ha affermato che l’acquisizione pone “rischi per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti”.


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