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L’energia pulita è meno cara e volatile di quella sporca (ma mancano gli impianti)

Complice il balzo del prezzo di gas e carbone, le rinnovabili sono sempre più convenienti. Ma il ricorso forzato al carbone dimostra che pensare di appoggiarsi solo a sole e vento è ancora irrealistico. Il report Ieefa

La crisi energetica in Europa sta evidenziando quanto le nostre economie dipendano ancora al mercato dei combustibili fossili, che per una serie di fattori convergenti si sta facendo sempre più volatile. La stangata delle bollette farà male. Nel mentre, almeno, emerge una notizia positiva: l’Institute for Energy Economics and Financial Analysis (Ieefa) riporta che l’energia prodotta da fonti rinnovabili è sembre meno costosa – e la stabilità delle rinnovabili è un antidoto sempre più potente alla volatilità di gas e carbone.

Citando uno studio dell’International Renewable Energy Agency (Irena), gli analisti di Ieefa hanno riscontrato che nell’ultimo decennio il costo dell’elettricità proveniente dal solare su larga scala è diminuito dell’85% (68% per l’energia solare concentratra). Anche l’energia eolica costa la metà: il prezzo dell’onshore si è contratto del 56%, quello dell’offshore del 47%. Insomma, spesso e volentieri le rinnovabili sono più convenienti delle alternative inquinanti.

Il trend fa da contraltare al prezzo di gas naturale e carbone, due fattori chiave che hanno fatto triplicare il prezzo dell’energia elettrica nel Vecchio continente rispetto all’anno scorso. Anche il prezzo del gas naturale liquefatto viaggia su livelli record ultimamente. Il costo del gas e l’aumento di consumi post pandemici fanno sì che i Paesi debbano ricorrere alle centrali a carbone, sembre più costoso per via delle politiche dissuasive europee.

Scrive l’Ieefa che le oscillazioni (dovute a diversi fattori) sono indicativi di quanto l’industria dei combustibili fossili si stia diventando sempre più imprevedibile. A luglio il ricercatore Tim Buckley notava come gli investitori globali stessero accelerando il loro allontanamento dai combustibili fossili e si stessero preparando a “impiegare quantità di capitale sempre più enormi in progetti di infrastrutture per l’energia rinnovabile”.

Tutti i dati puntano a una lodevole riconversione del sistema in chiave green, ove le rinnovabili costituiranno la spina dorsale della produzione energetica. Ma si parla ancora di un futuro troppo remoto: la capacità produttiva verde è importante ma ancora troppo marginale (gli oltre 2.800 GW installati in Italia coprono il 20% del fabbisogno), la capacità di accumulo è ancora troppo limitata (anche per via degli ostacilo tecnologici), e lo stesso vale per l’efficientamento della rete. La ricaduta sul carbone (l’ultima spiaggia) testimonia la mancanza di alternative.

Nella transizione energetica da qui alla neutralità carbonica (2050) non si può che appigliarsi alle tecnologie ponte: gas e nucleare. E come ha ricordato su Libero Davide Tabarelli, fondatore di Nomisma Energia, l’Italia non si avvale né del nucleare, nel del gas naturale, che importa dall’estero anziché attingere alle 200 miliardi di metri cubi di riserve. Difficile abbattere i costi dell’energia quando il sistema basato sulle rinnovabili è ancora tutto da costruire.


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