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Perché la Francia vuole ospitare una conferenza internazionale sulla Libia?

Il ministro Jean-Yves Le Drian, vicinissimo al presidente, ha annunciato nella serata di lunedì che il 12 novembre la Francia ospiterà una conferenza internazionale sulla Libia. L’attivismo francese passa anche da Tripoli

Il ministero degli Esteri continua a essere il motore della presidenza Macron. Jean-Yves Le Drian, vicinissimo al presidente, ha annunciato nella serata di lunedì che il 12 novembre la Francia ospiterà una conferenza internazionale sulla Libia, paese su cui rivendica influenza sebbene meno inserito nella sfera che va dal Nordafrica al Sahel.

Le Drian ha fatto l’annuncio durante una conferenza stampa a latere dell’assemblea generale delle Nazioni Unite (Unga), e questo rende ancora più interessante la dinamica. A maggior ragione se si considera che l’Eliseo ha affidato a lui la reazione all’Aukus, l’accordo tra Stati Uniti, Australia e Regno Unito che si è portato dietro uno scossone nelle relazioni transatlantiche, con Parigi che ha ritirato i propri ambasciatori da Washington e Canberra in segno di protesta (il tema è politico, geopolitico ed economico, se si considera che l’intesa include il ritiro australiano da una maxi commessa navale francese).

Mercoledì 22 settembre, sempre nell’ambito della Unga, il ministro francese e i colleghi tedesco e italiano, Heiko Maas e Luigi Di Maio, guideranno una riunione sulla situazione libica – che l’Onu accompagnerà nella fase di stabilizzazione verso la definizione di un presidente e di un parlamento unitari tramite il voto fissato per il 24 dicembre. L’annuncio francese sulla conferenza di Parigi è uno scatto in avanti.

Funzionari dell’Ue che seguono il dossier libico spiegano che “non si capisce la finalità della conferenza” e si dicono “preoccupati” perché già in passato la Francia ha scelto di muoversi in forma troppo autonoma in Libia, giocando su entrambe le sponde della crisi. La questione elettorale ha riaperto lo scontro politico – su cui l’Italia sta già lavorando per appianare le tensioni. Recentemente, secondo rumors non confermabili, droni francesi e advisor sul terreno hanno aiutato i miliziani di Khalifa Haftar in un combattimento per cercare di catturare il capo dei ribelli ciadiani del Fact nel sud libico.

Il Ciad è un Paese di interesse per la Francia, i ribelli che si muovono dalla Libia hanno ucciso mesi fa il presidente Idriss Déby, il principale alleato francese nella regione – e il Paese si trova in uno stato di ricambio del potere delicato, con il figlio del presidentissimo che ha preso il controllo per discendenza con la promessa di nuove elezioni. L’aiuto francese è una forma di rassicurazione a doppio senso: da una parte Parigi appoggia l’attuale leadership ciadiana, dall’altra N’Djamena resta sotto l’ombrello francese.

In modo simile, l’Eliseo ha annunciato nei giorni scorsi l’eliminazione del leader dello Stato islamico nel Grande Sahara, la provincia che si estende tra Mali e Niger, due Paesi in cui la Francia è presente con un’operazione militare finalizzata all’anti-terrorismo che Emmanuel Macron ha già fatto sapere pubblicamente di voler ridurre in termini di impegno – perché troppo oneroso e poco fruttuosa.

La questione libica, la sua stabilizzazione, è considerata un passaggio cruciale per l’Europa – ed è stata un terreno di competizione tra Paesi europei. Sotto molti aspetti è un test anche per le capacità dell’Ue di gestire la propria autonomia strategica, idea maîtresse di Macron per rendere l’Unione indipendente dal punto di vista geopolitico. Passaggio che Parigi vede come una forma per moltiplicare la propria capacità di potenza.


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