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Washington cerca Pechino per riportare l’Iran nel Jcpoa (fermando il petrolio)

Le relazioni tra Cina e Iran in un momento complesso: gli Stati Uniti hanno chiesto a Pechino di ridurre sensibilmente gli acquisiti di petrolio da Teheran per pressare sul negoziato per ricomporre il Jcpoa

Gli Stati Uniti hanno chiesto alla Cina di ridurre i loro ordinativi di petrolio dall’Iran per aumentare la pressione su Teheran. Attualmente gli acquisti di greggio cinesi sono una delle principali entrate per la Repubblica islamica, e l’amministrazione Biden spera che riducendo le commesse (e dunque le entrate) il cappio al collo della Repubblica islamica si stringa ulteriormente, così da portare la presidenza Raisi ad accettare compromessi importanti. Sostanzialmente, l’accettazione di un accordo sul nucleare che ricomponga il Jcpoa (in modo vantaggioso per gli Usa): da lì, dall’abolizione delle sanzioni in cambio di una nuova intesa, dovrebbe passare l’unica strada che permetta all’Iran di risollevarsi – in un momento complicatissimo, in cui le difficoltà economiche pre-esistenti si sommano agli effetti del Covid.

“Ci siamo avvicinati diplomaticamente ai cinesi, la richiesta è parte del nostro dialogo sulla Iran-policy e pensiamo che, in generale, questo sia un percorso più efficace per affrontare le nostre preoccupazioni”, ha detto in forma anonima un funzionario americano alla Reuters, che ha dato per prima la notizia. Che apre a diverse riflessioni. Innanzitutto racconta che il regime della “massima pressione” che l’amministrazione Trump prima, e adesso con quella attuale, hanno messo in piedi come forma per sfiancare Teheran non ha funzionato. L’Iran è stato in grado di mantenersi vivo, resiliente, attraverso quella che viene definita “economia di resistenza”. Sebbene questa, che gli americani pianificano applicata tramite la sponda cinese, sarebbe un’ulteriore pressione, forse quella decisiva. O forse no, perché non è chiaro quanto i cinesi possano essere d’accordo. Ufficialmente la linea di Pechino è: visto che sono stati gli Usa, con Donald Trump, a uscire dall’accordo e ad attivare la massima pressione, ora devono essere loro (non noi, non l’Iran) a prendersi l’onere di risolvere la situazione.

Un altro aspetto da non sottovalutare sta nel segmento della questione che collega Usa e Cina. Washington chiede l’aiuto di Pechino dimostrando sì di non essere in grado di risolvere il dossier Iran da solo, ma allo stesso tempo gli americani testano la volontà cinese di essere coinvolti su certe questioni. La proposta è un colpo contro l’accordo commerciale sino-iraniano (che proietta una durata venticinquennale promettendo sulla carta dozzine di miliardi di dollari di interscambio): il Partito/Stato accetterà questa collaborazione perdendo una via di relazione privilegiata con Teheran, ma mostrandosi disponibile e più affidabile a Washington? Per Pechino, che comunque importa quantità piccole di petrolio se paragonate al flusso potenziale senza sanzioni statunitensi, significherebbe diminuire la diversificazione degli acquirenti e aumentare la dipendenza dalle altre nazioni fornitrici del Golfo.

Secondo le informazioni della Reuters, la proposta sarebbe stata avanzata dalla vicesegretaria di Stato Wendy Sherman durante una visita a luglio a Pechino. Non è chiaro ancora a che punto sia la discussione, ma potrebbe rientrare in quei punti di contatto che il segretario del Partito comunista cinese, il capo di Stato Xi Jinping, e il presidente americano, Joe Biden, hanno recentemente affrontato nella loro prima telefonata a inizio settembre. Tra le due potenze in scontro sono comunque in piedi questo genere di contatti, sia diretti che laterali – come quelli recentemente confermati dal capo dello Stato maggiore congiunto Mark Milley in audizione al Senato. Queste forme di dialogo sono strutturate, e riguardano sia la necessità di prevenire un’escalation, sia la possibilità di trattare in modo collaborativo alcuni dossier (semplificando: sono ciò che distingue l’attuale confronto dalla Guerra Fredda).

La linea di aggancio alla Cina è condivisa da altri attori presenti al tavolo del Jcpoa, in primis dalla Francia – anche in questo caso l’allineamento testimonia che Washington e Parigi sono su posizioni convergenti riguardo diversi dossier sebbene l’Aukus abbia creato tensioni. “Ci aspettiamo che i cinesi si esprimano e agiscano in modo più deciso. Dobbiamo esercitare una pressione, indispensabile, sull’Iran”, ha detto sempre alla Reuters un funzionario francese che partecipa ai negoziati sul nucleare iraniano, preoccupato che il rischio in questo momento sia lo smottamento del percorso di dialogo avviato tra Stati Uniti e Repubblica islamica. Nelle scorse settimane sono uscite sui giornali delle notizie poco rassicuranti: in un’apparente campagna di infowar, si parlava di nuovi livelli di arricchimento dell’uranio raggiunti da Teheran (a un passo dalla Bomba, a quanto pare), e delle capacità di Cia e Mossad di compiere importanti azioni di sabotaggio in territorio iraniano.



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