Il crack del colosso immobiliare ha generato nei cittadini della Repubblica Popolare una grave sfiducia verso uno dei settori chiave dell’economia cinese, con un grande calo nelle compravendite. D’altronde, a monte del disastro del gruppo c’è proprio un’offerta di mattone superiore alla domanda
La crisi del mercato immobiliare è simile a una matrioska. Sotto il primo strato, ce ne subito un altro e poi un altro ancora. E tutti sono connessi tra loro. Evergrande e il suo dramma, prima industriale e poi sociale (oltre agli obbligazionisti rimasti con il cerino in mano ci sono decine di migliaia di persone che hanno comprato le case costruite da Eevergrande e che ora, a causa del dissesto finanziario del gruppo, rischiano di finire all’asta per pagare i bond non rimborsati), sono figli di una crisi partita dalle immense province cinesi. E l’improvviso avvitamento del mercato immobiliare, con i cittadini della Repubblica Popolare che non comprano più case, è a sua volta riconducibile alla crisi di fiducia partita da un epicentro preciso, Shenzhen, quartier generale di Evergrande.
Come più volte raccontato, la crisi del debito cinese, ora vero e proprio contagio anche su scala internazionale, ha un’origine chiara: sono state costruite più case di quante ne sono state vendute. E dal momento che per realizzare i complessi immobiliari, quando non intere città, i grandi gruppi, spesso statali, si sono indebitati, il crollo dei prezzi conseguente all’eccesso di offerta ha reso i debiti insostenibili, a cominciare da quelli di Evergrande. Dunque, la scarsa domanda a fronte di un’eccesso di offerta ha generato quella caduta dei prezzi che ha depauperato il patrimonio del gigante immobiliare, ora in buona compagnia con altre società del mattone a cominciare da Fantasia, anch’essa insolvente.
L’effetto detonazione era scontato, dal momento che, secondo i calcoli di Bloomberg, metà delle obbligazioni in sofferenza sparse per il mondo sono riconducibili a società immobiliari della Cina. Ora, se le case invendute sono all’origine del collasso di Evergrande e compagni, è vero anche il contrario e cioè che il default è la principale causa dell’ondata di sfiducia che ha colpito i cittadini cinesi desiderosi di possedere una casa. Come ha rivelato recentemente il New York Times, il fallimento di Evergrande è stato visto come una specie di enorme truffa, che ha spento le residue speranze dei cinesi di comprarsi una casa. Troppo rischioso, questo è il senso di fondo, comprare un immobile da un venditore finito a gambe all’aria. E il mercato si è fermato.
“Il disastro di Evergrande e la sua gestione da parte di Pechino stano danneggiando il principale motore dell’economia cinese, il mattone. Scoraggiando gli acquirenti a comprare casa”, ha scritto l’autorevole quotidiano statunitense. “Il problema è che il fallimento di Evergrande ha spento un po’ le speranze delle persone. Con il risultato che la gente non è più in vena di acquistare proprietà immobiliari”. E pensare che in un passato non troppo remoto gli acquisti di case erano così frenetici che le proprietà si esaurivano in pochi minuti dall’offerta. Ma adesso sembra essere tutto finito, anche perché la perdita di fiducia nel mercato potrebbe tradursi in un calo delle vendite di auto ed elettrodomestici per la casa, danneggiando ulteriormente l’economia”.
Non può dunque stupire che nelle scorse ore l’agenzia di rating S&P Global abbia pubblicato nuovi declassamenti a due delle più grandi società del settore, Greenland Holdings (taglio di due notch a B+ da BB, il titolo perde l’1,28% a 4,61 yuan per 61 miliardi di capitalizzazione circa a Shanghai), che ha costruito alcune delle residenziali più alte del mondo e E-house (ora B+, quotata a Hong Kong), avvertendo che potrebbe ridurre ulteriormente il giudizio.