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L’accordo cinesi-Cdp Reti oggi non si farebbe. E infatti Draghi…

“Repubblica” rivela che alcune banche d’affari sono al lavoro per cercare di trovare una soluzione che riduca il peso di State Grid nel gruppo partecipato dallo Stato che ha quote in Snam, Italgas e Terna. Una conferma della svolta atlantista del premier

Nei giorni scorsi le indiscrezioni contenute in un articolo di Repubblica sono state fonte di nuove preoccupazioni per la Cina relativamente alle al ruolo delle sue aziende in Italia. Il pezzo conferma una tendenza già notata su Formiche.net nel campo tecnologico, in particolare dopo le decisioni su 5G e sui semiconduttori: l’Italia di Mario Draghi è ben lontana da quella che soltanto due anni e mezzo firmato il memorandum d’intesa con la Cina sulla Via della Seta. Per dirla con la prestigiosa rivista americana Foreign Affairs, “allineando le sue politiche con le priorità statunitensi ed europee, l’Italia ha reso chiara la sua posizione nell’emergente competizione tecnologica tra Cina e Occidente”.

RIFLETTORI SU STATE GRID

Stavolta a finire sotto la lente d’ingrandimento a Palazzo Chigi è State Grid of China, colosso pubblico che nel 2014 acquistò da una Cassa depositi e prestiti in “bisogno di capitale”, come scrive Repubblica, una quota di minoranza (35%) di Cdp Reti, il veicolo di investimento che gestisce le partecipazioni in Snam (31,35%), Italgas (26,02%) e Terna (29,85%).

LA SCELTA DEL 2014…

Ma se Cdp avesse tenuto quella quota, spiega il quotidiano diretto da Maurizio Molinari, “avrebbe potuto rafforzare il suo capitale con i dividendi poi distribuiti dalla società, pari a 2,58 miliardi in sette anni. Inoltre il valore di Cdp Reti nello stesso periodo è raddoppiato (da 5 a 9,8 miliardi)”. “Evidentemente, all’epoca dei fatti”, cioè nel 2014, “la vendita ai cinesi, che si sono  garantiti due posti nel cda di Cdp Reti, fu la strada più facile da percorrere per il ministro dell’economia Pier Carlo Padoan e l’allora presidente di Cdp, Franco Bassanini, oggi ai vertici della società della fibra, Open Fiber, controllata dall’Enel e dalla Cassa Depositi e Prestiti”, scrivevamo su Formiche.net. Il governo guidato da Matteo Renzi scelse un partner strategico come State Grid sperando che l’alleanza avrebbe potuto aprire un ponte tra i due Paesi.

… E I MAGRI RISULTATI

“Così non è stato”, scrive Repubblica: “Così non è stato, le aziende italiane sono cresciute con le loro gambe e, anzi, a tratti si sono trovate a gareggiare contro il loro socio cinese. L’episodio più eclatante risale al 2016 quando Terna tentò l’acquisto del 24% della rete greca Ipto, ma Sgoc presentò un’offerta di quelle difficili da superare (320 milioni), e perfino maggiore di quanto speso dalla connazionale Cosco per il porto del Pireo (293 milioni per il 51%)”.

GLI SFORZI DI FORMICHE.NET

Nel 2014 il professor Giulio Sapelli diceva: “Dal punto di vista economico è un buon accordo, perché porta liquidità e non offre il controllo ai cinesi. Dall’altro lato però non bisogna dimenticare che quello energetico è un asset fondamentale per l’interesse nazionale”. Lo diceva sulle pagine di Formiche.net, che all’epoca, spesso in solitudine, aveva dedicato approfondimenti e analisi sull’operazione, con la versione anche del presidente di Cdp, Bassanini. Aggiungeva Sapelli: “In altri Paesi è normale che prima di vendere asset strategici ci sia un confronto tra governo, ministero degli Esteri, associazioni di categoria e via discorrendo. Ma non per essere controllati, ma per valutare la soluzione migliore dal punto di vista dell’interesse nazionale. In Italia si va ognun per conto suo, ecco perché accade che si ceda una quota così rilevante ai cinesi, senza considerare altre soluzioni, che pure avrebbero potuto essere trovate”.

IL PROBLEMA DELL’ASSENZA DI RECIPROCITÀ

Un anno fa, sempre su Formiche.net, Alberto Pagani, deputato del Partito democratico e membro della commissione Difesa della Camera, citava l’esempio di Cdp Reti (assieme a quelli di Pirelli, Ferretti Yacht e WindTre) per evidenziare come “i capitali cinesi, privati o pubblici, vengono investiti liberamente nell’economia italiana”, mentre “la legge cinese impedisce ad un italiano di acquisire il controllo di una qualsiasi società cinese. Uno straniero può investire in Cina solo se il controllo della società resta in mano cinese, e il socio cinese detiene sempre più del 50% del capitale sociale”. “In assenza di regole comuni e di reciprocità, continuava, “non esiste il libero commercio, perché vi sono posizioni di privilegio e di vantaggio che squilibrano il mercato e danneggiano una parte, che spesso è la più debole, a favore dell’altra”.

BANCHE AL LAVORO

Con il nuovo corso inaugurato da Dario Scannapiecovoluto fortemente da Draghi come amministratore delegato di Cdp, “alcune banche d’affari sono al lavoro per cercare di trovare una soluzione che riduca il peso dei cinesi nel gruppo partecipato dallo Stato”. Repubblica rivela anche che “pare che ultimamente” Yunpeng He, uomo di fiducia di State Grid che siede nei cda di Cdp Reti, Snam, Italgas, Terna e della greca Ipto, “sia stato costretto ad alzarsi dai vari consigli per una serie di potenziali conflitti, senza contare che da quando è in vigore la norma del Golden Power, approvata all’inizio della pandemia, la questione è ancora più delicata”.

QUALE SOLUZIONE?

Oggi, con la riforma Gentiloni sulla cybersecurity del 2017 e la normativa Ue del 2018, State Grid non avrebbe potuto mettere le mani sul 35% di Cdp Reti. “Quando nel 2020 si presentò una situazione analoga in Ansaldo Energia, la soluzione fu più facile perché la società era in crisi, Cdp si offrì di ricapitalizzarla e il socio Shanghai Electric si diluì dal 40 al 12,4%”, conclude Repubblica. “Su Cdp Reti, che va molto bene, la soluzione è più difficile da trovare”.



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