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E se venisse dal Golfo una boccata di energia per l’Ue?

Il sottosegretario Di Stefano alla Saudi Green Initiative con John Kerry e Larry Fink: “Il nostro Recovery Plan sta allocando il 40% delle risorse disponibili per la neutralità climatica”. Allarme Onu: le concentrazioni di gas serra nell’atmosfera hanno raggiunto nuovi livelli record nel 2020

Mentre Bruxelles vede ancora lontana la meta di un accordo sul caro-bollette, visto che il Consiglio dei Ministri dell’Energia riunito a Lussemburgo non è riuscito a trovare la quadra, si moltiplicano gli scenari che toccano le relazioni dell’Ue, vicine e lontane. È il caso dell’Arabia Saudita, fornitore di un decimo della domanda mondiale di petrolio, che ha riunito i big players attorno al tavolo del Middle East Green Initiative Summit (per l’Italia presente il sottosegretario Manlio Di Stefano secondo cui il nostro Recovery Plan “sta allocando il 40% delle risorse disponibili per la progressiva e completa neutralità climatica della nostra società entro il 2050”).

QUI RIYAD

Che succede se i paesi del Golfo iniziano a produrre energia a basso costo? Può arrivare in Europa e quindi contribuire a diversificare l’approvvigionamento energetico complessivo? Se ne è parlato a margine del recente forum di Ryad alla presenza del principe ereditario Mohammed bin Salman, l’inviato presidenziale speciale degli Stati Uniti per il clima John Kerry, il vice segretario generale delle Nazioni Unite Amina Mohammed, l’amministratore delegato di BlackRock Larry Fink, il CEO del gruppo HSBC Noel Quinn e il senior partner di BTG Pactual Andre Esteves. L’appuntamento si inserisce in un’agenda strategica, visto che precede di pochi giorni il G20 di Roma, seguito immediatamente dalla conferenza delle Nazioni Unite sul clima (COP26) a Glasgow.

Da un lato i paesi del Golfo promettono emissioni zero e si posizionano per essere in prima fila nella grande partita legata al business dell‘energia pulita; dall’altro continuano a esportare petrolio e gas. Per questa ragione Kerry ha sottolineato con veemenza che si tratta “della più grande trasformazione che sia mai avvenuta su questo pianeta, dalla rivoluzione industriale, se lo facciamo”. Senza dimenticare i numeri dell’Opec, secondo cui mentre la spinta verso le energie alternative provocherà il calo della domanda di petrolio in alcune parti del mondo, rimarrà comunque la fonte di energia principale del pianeta fino al 2045. A quel punto si stima che la domanda globale di petrolio potrebbe precipitare di oltre 90 milioni di barili al giorno: un calo dell’85% dei ricavi per le economie produttrici di petrolio. Un passaggio da tenere in considerazione.

QUI ONU

Secondo il vicesegretario generale dell’Onu Amina Mohammed l’iniziativa non solo aiuterà a ridurre le emissioni dell’industria petrolifera e del gas nella regione, ma aiuterà a ripristinare e proteggere vaste aree di terra attraverso l’imboschimento. “È ormai chiaro che l’economia globale si sta dirigendo irreversibilmente verso la profonda decarbonizzazione di tutti i settori, dall’energia, all’industria manifatturiera, ai trasporti, ai sistemi alimentari”. In vista del vertice COP26 le Nazioni Unite avvertono però che le concentrazioni di gas serra nell’atmosfera hanno raggiunto nuovi livelli record nel 2020: si legge nel bollettino dei gas serra dell’Organizzazione meteorologica mondiale delle Nazioni Unite che il tasso di aumento annuale dello scorso anno è stato superiore alla media annuale fatta registrare tra il 2011 e il 2020.

QUI UE

In Europa la doppia problematica della transizione mescolata al caro-bollette è ben lontana dall’essere risolta e, anzi, sta mostrando una serie di frizioni, visto e considerato che il tema si sta abbattendo, oltre che economicamente su imprese e famiglie, anche elettoralmente sui governi (senza contare il dossier Nord Stream 2).

Quello spagnolo intende chiedere all’Unione europea il permesso di uscire dalla politica comune dei prezzi dell’elettricità e redarre un proprio meccanismo di tariffazione. Pronta la replica del commissario UE Thierry Breton: non crede, ha detto, che gli acquisti congiunti suggeriti dalla Spagna sarebbero efficaci. Sulla stessa lunghezza d’onda il collega lussemburghese Claude Turmes.

Ma Madrid non ci sta e per bocca del segretario di Stato spagnolo per l’Energia Sara Aagesen Muñoz esorta i partner europei a essere “molto più ambiziosi” e a fornire una “risposta europea”, contrariamente alle misure interne proposte da Bruxelles e approvate dalla maggioranza degli Stati membri.

La chiusa arriva in una lettera vergata da nove paesi, guidati dalla Germania, secondo cui solo i mercati dell’energia trasparenti e competitivi offrono efficienza e prezzi competitivi agli utenti finali: “Non possiamo sostenere alcuna misura che sia in conflitto con il mercato interno del gas e dell’elettricità, ad esempio, e una riforma ad hoc del mercato all’ingrosso dell’elettricità”. Per cui la questione non è del tutto risolta, nonostante le nuove alleanze mediterranee coagulatesi attorno al dossier energetico. 

NATIONAL INFRASTRUCTURE FUND

L’Arabia Saudita intanto accelera verso la transizione ecologica, con l’annuncio di un fondo infrastrutturale nazionale per supportare progetti fino a 53 miliardi di dollari. Il National Infrastructure Fund investirà in macro aree come acqua, trasporti, energia e salute, al fine di rendere il paese meno dipendente dalle entrate petrolifere. Inoltre arriva il pollice in su dal Green Building Council degli Stati Uniti per la Saudi Green Initiative in termini di obiettivi di riduzione delle emissioni di carbonio e raggiungimento della neutralità del carbonio entro il 2060.

@FDepalo

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