Il Qatar ha votato per la prima volta: i membri del Consiglio della Shura – tutti uomini – sono stati eletti con un’affluenza oltre il sessanta per cento. Il Golfo si muove lentamente verso una normalizzazione
“Come al solito nel Golfo il patriarcato vince alle urne e le donne non ottengono i seggi meritati”, ha detto su Twitter Dania Thafer, una professoressa della Georgetown University, commentando le elezioni con cui i cittadini qatarini hanno eletto i loro rappresentanti al Consiglio della Shura. È il primo voto legislativo della storia del Qatar, che arriva a pochi mesi di distanza dall’inizio dei Mondiali di Calcio e mentre Doha è inserita – con ruoli centrali, come quello sul dossier Afghanistan – nel flusso con cui i Paesi della regione intendono mostrarsi al mondo come più aperti.
Le votazioni si sono tenute nel fine settimana per due terzi del Consiglio qatarino, che è un organo consultivo composto da 45 membri. Il ministero dell’Interno ha comunicato domenica 3 ottobre che l’affluenza aveva raggiunto il 63,5 per cento, aggiungendo: “Queste elezioni rafforzeranno lo stato di diritto e le istituzioni del paese”. Nessuna delle 28 donne tra i 284 candidati è stata eletta, per inquadrare la dichiarazione di Thafer. I trenta legislatori scelti dal popolo, e i 15 dall’Emiro, affiancheranno il governo nel consigliera policy e nel discutere il bilancio.
Le votazioni, annunciate a luglio, fanno parte di una serie di riforme con cui Doha intende mostrare al mondo un’immagine di sé più moderna. Altre misure includono la legislazione per migliorare le tanto criticate condizioni per i lavoratori che costruiscono le infrastrutture per i Mondiali e un’azione contro la corruzione. Il voto è in discussione dal 2013, ma il processo è stato rallentato dopo la salita al trono dell’emiro Sheikh Tamim bin Hamad Al Thani, che, una volta ricevuto il trono per abdicazione del padre, ha prima dovuto potenziare la sua figura all’interno e poi affrontare una serie di problematiche esterne.
Il Qatar, nel giugno 2017, è stato messo sotto isolamento diplomatico e commerciale da parte dell’Arabia Saudita (in una politica ideata dagli Emirati Arabi e seguita da diversi altri paesi della regione). Riad contestava a Doha una sospetta conguità con le organizzazioni terroristiche, ma informalmente c’erano altre problematiche a lacerare le relazioni: la spaccatura all’interno del sunnismo, con i qatarini che sposano un’interpretazione dell’Islam politico ispirato dalla Fratellanza musulmana, che a Riad e Abu Dhabi come al Cairo è considerata un’organizzazione terroristica; l’attivismo economico-commerciale con cui il Qatar aveva costruito ampie zone di influenza indipendenti dal resto dal Golfo; le relazioni con l’Iran, nemico del Golfo sunnita, ma per Doha contatto imprenscindibile per via della condivisione del più grande giacimento gasifero del mondo.
La spaccatura si è ricucita: la riconciliazione di Al Ula, dove il 5 gennaio i sauditi sono tornati a parlare con i qatarini, e i successivi contatti (come la recente casual diplomacy nel Mar Rosso), fanno parte di una nuova stagione nella regione del Medio Oriente (e nel Mediterraneo allargato). Si sta cercando una normalizzazione tattica delle relazioni frastagliate che hanno caratterizzato questi ultimi anni. La regione si sta modificando anche perché la transizione energetica/ecologica/sociale sta cambiando l’influenza delle petro&gas-monarchie nelle strategie future: a questi paesi sono richieste forme di modernizzazione per poter essere ancora credibili. I parlamenti sono una di queste forme.
Sotto quest’ottica, un aspetto che resta sorprendente sia nelle elezioni in Qatar che quelle precedenti in Kuwait (dove il ruolo dei parlamentari è più importante) riguarda la mancanza di una rappresentanza femminile: elemento che va contro un’altra tendenza che vediamo nel Golfo, che è una crescente rappresentazione delle donne nella vita pubblica, nelle posizioni di governo e nel settore privato. Tutto chiaramente mentre il concetto di parità di genere è ancora piuttosto remoto, e spesso usato anche in questo caso come forma di pubblicità per rafforzare l’immagine pubblica (recentemente il presidente Kais Saied che sta rafforzando il suo potere in Tunisia ha scelto una donna come premier).