Con l’ultima decisione della Fcc aumentano gli interrogativi sul futuro del consorzio per la Ran aperta, in cui le aziende cinesi hanno un peso molto forte. Al Congresso la rappresentante dem Spanberger, ex operativo Cia, chiede un rapporto
Con un voto all’unanimità la Federal Communications Commission ha revocato la licenza per operare negli Stati Uniti a China Telecom, continuando così negli sforzi di eliminare dal mercato americano società tecnologiche cinesi nel nome della sicurezza. Una decisione assunta poche ore dopo il colloquio tra il vicepremier cinese Liu He e la segretaria al Tesoro statunitense Janet Yellen, e nel giorno in cui il presidente Joe Biden ha annunciato la scelta di Jessica Rosenworcel come prossimo presidente (prima donna) della potente agenzia federale che regola le telecomunicazioni negli Stati Uniti.
“Alcuni Paesi possono cercare di sfruttare la nostra apertura per promuovere i propri interessi nazionali”, ha detto Rosenworcel. “China Telecom Americas”, si legge nella nota di quella che attualmente è presidente ad interim in attesa della procedura di conferma al Senato, “opera come filiale di un’impresa statale cinese e come tale il governo cinese ha la capacità di influenzare e controllare le sue azioni. Questo potrebbe portare a problemi reali con le nostre reti di telecomunicazione attraverso la sorveglianza delle informazioni, la deviazione del traffico o l’interruzione del servizio”. Secondo la Fcc “le misure di mitigazione non sono adeguate per affrontare le nostre preoccupazioni”, cioè non erano sufficienti. Dunque, “la revoca delle autorizzazioni esistenti è giustificata”.
“La decisione della Fcc è deludente”, ha dichiarato all’agenzia Reuters un portavoce di China Telecom Americas. “Siamo decisi a perseguire tutte le opzioni disponibili continuando a servire i nostri clienti”.
La stessa agenzia di stampa sottolinea i numeri di China Telecom negli Stati Uniti: oltre a servire le sedi di rappresentanza locale del governo cinese, copre più di 4 milioni di cinesi americani, 2 milioni di turisti cinesi all’anno in visita negli Stati Uniti, 300.000 studenti cinesi nei college americani e oltre 1.500 imprese cinesi in America.
China Telecom, dunque, entra nella lista delle aziende cinese ritenute una minaccia per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti. Nell’elenco ci sono Huawei e Zte, aziende leader nel 5G, ma anche Dahua Technology (i cui termoscanner sono stati acquistati per Palazzo Chigi durante il mandato di Giuseppe Conte), Hytera e Hikvision (le cui telecamere sono state installate in 134 Procure italiane, come rivelato da Wired).
Nelle scorse settimane su Formiche.net abbiamo raccontato le difficoltà di O-Ran Alliance, un progetto di sviluppo di una rete modulare con interfacce e ran aperte che dovrebbe favorire una maggiore trasparenza e una diversificazione dei fornitori 5G – ragione per cui è spinto, seppur a corrente alternate, anche dal governo statunitense. China Telecom fa parte del consorzio, assieme ad altri due grandi fornitori di servizi China Mobile e Telecom e China Unicom, alla società di informatica Inspur, a quella che produce chip Phytium e al colosso delle telecomunicazioni Zte.
Le difficoltà raccontate su queste pagine erano – e sono ancora – legate alla presenza cinese nell’alleanza. Secondo l’ultima ricerca di Strand Consult, ben 44 aziende che partecipano alla O-Ran Alliance (nata nel 2018, prima che l’amministrazione Trump mettesse nel mirino il 5G “made in China”) sono domiciliate in Cina, il Paese più rappresentato nel progetto dopo gli Stati Uniti (con 82).
Il Congresso statunitense ha recentemente acceso i suoi riflettori. La rappresentante Abigail Spanberger, del Partito democratico, ex operativo della Cia, ha chiesto un rapporto dettagliato sulle implicazioni di sicurezza nazionale della Ran aperta e sul coinvolgimento delle aziende cinesi nella O-Ran Alliance.
La Casa Bianca, invece, ha iniziato a non citare più l’O-Ran Alliance nei comunicati ufficiali. Basti pensare che non c’è stata alcuna menzione del progetto nella dichiarazione sul Quad Leaders’ Summit che ha visto impegnati, in chiave anti Cina, anche Australia, Giappone e India. Nel documento si parla di “implementazione e la diversificazione del 5G”. Ma viene citata soltanto la Open Ran Policy Coalition, gruppo dall’impronta molto più politica che promuove la Ran aperta come alternativa sicura ai fornitori cinesi come Huawei e Zte. I membri sono 60 e non ci sono cinesi. Il problema, però, è che si tratta di un’associazione lobbistica, non tecnica: dunque, non lavora sugli standard, come invece fa O-Ran Alliance. Il che significa che un’alternativa all’O-Ran Alliance (ancora) non c’è.