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Cina sempre più amara per l’Africa. Il caso dell’Uganda

Cina

Il Paese africano aveva chiesto un maxi-finanziamento alle banche cinesi per ammodernare e ampliare il suo unico aeroporto internazionale. Ma venute meno le garanzie, Pechino ha fatto scattare la trappola, pronta a entrare in possesso dell’infrastruttura. Un film già visto e non solo in Africa

Gli artigli sono sempre quelli, i denti aguzzi anche. Il Dragone tira un’altra zampata alle fragili economie africane, privandole delle loro infrastrutture strategiche e vitali. Non è la prima volta che Formiche.net affronta il tema dei prestiti concessi dal governo cinese ai Paesi in via di sviluppo, specialmente africani. Finanziamenti dalla natura oscura che quasi sempre nascondono trappole che permettono alla Cina di appropriarsi di pezzi di economia locale.

Ne sanno qualcosa Paesi come lo Zambia, il cui debito estero è per il 30% verso Pechino, il Congo, ma anche gli Stati asiatici del Laos e dello Sri Lanka. Vittime, inconsapevoli o no questo è da vedere, di un meccanismo pericoloso: si accetta il finanziamento, spesso sostanzioso e con tassi allettanti, si realizza l’opera e nel momento in cui il rimborso diventa complicato scatta la tagliola. Vengono cioè fuori una serie di clausole che impongono l’ingresso delle banche cinesi nel capitale. E le autorità locali possono fare ben poco dal momento che le medesime clausole prevedono la sostanziale impossibilità tra le diverse parti oggetto di comunicare. Insomma, un prestito tossico.

L’ultimo, clamoroso, caso, è quello dell’Uganda, Paese dell’Africa orientale da 45 milioni di abitanti. Un’economia ancora povera e priva di asset di rilievo. E proprio uno di queste poche infrastrutture, l’unico aeroporto internazionale del Paese a Entebbe, è da poco finita in mani cinesi, per non aver rimborsato un prestito di 207 milioni di dollari concesso dalla Export-Import Bank of China sei anni fa. Ironia della sorte, se così si può dire, il denaro doveva servire proprio all’ammodernamento e all’ampliamento dello scalo.

Il governo di Kampala, capitale dell’Uganda, ha tentato fino all’ultimo di scongiurare la cessione dell’aeroporto, realizzato negli anni ’70 e il cui traffico passeggeri annuo sfiorava i due milioni di unità prima della pandemia. Nel 2015 è stata la Civil Transportation Authority a ricevere la somma, a un tasso del 2%. Il finanziamento, destinato all’espansione dell’aeroporto di Entebbe, aveva un periodo di scadenza di 20 anni.

Ma qualcosa è andato storto. Il governo ugandese ha infatti rinunciato alla clausola di immunità internazionale che garantisce i prestiti transfrontalieri, consentendo alla banca cinese di spostare la garanzia sullo stesso scalo, prendendone possesso, per giunta senza ricorrere ad alcun arbitrato internazionale. A poco sono servite le scuse pubbliche in parlamento del ministro delle finanze ugandese, Matia Kasaija, per aver “gestito male” il prestito multimilionario.

Il danno è fatto. E pensare che i piani dell’Uganda erano ambiziosi, forti di un aggressivo e ambizioso masterplan ventennale per l’aviazione civile che includeva l’ammodernamento del suo unico aeroporto internazionale, lungo le rive del Lago Vittoria, 43 km a sud della capitale Kampala. Non è chiaro se i lavori, ormai in fase avanzata, verranno fermati. L’ambasciata cinese in Uganda nega di aver “confiscato” la struttura. Ma l’accusa non è certo di una confisca tout-court, quanto di aver negato una rinegoziazione delle clausole che farebbe scattare il passaggio del controllo dello scalo dal governo ugandese al creditore cinese.

 

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