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La Commissione europea litiga sui microchip. Roma sta con Parigi e Berlino

Scontro tra Vestager e Breton sugli aiuti di Stato: la danese dà voce ai “frugali”, il francese a chi sostiene che senza investimenti non c’è autonomia strategica (né posti di lavoro). Nelle scorse settimane Giorgetti ha chiarito la posizione di Roma e su Intel…

La Commissione europea litiga sui semiconduttori. E a giudicare dalle fotografie pubblicate sul proprio profilo Twitter in occasione della visita agli stabilimenti dell’azienda olandese Asml accompagnata dal primo ministro Mark Rutte, la presidenza Ursula von der Leyen sta dalla parte di Margrethe Vestager contro Thierry Breton. Le immagini, però, non sono tutto e possono trarre in inganno.

Facciamo un passo indietro.

Oggetto del contendere sono i sussidi per rilanciare l’industria europea dei semiconduttori. Per farlo l’Unione europea, che è passata dal 25% all’8% di quota del mercato globale, si è data l’obiettivo di produrre entro il 2030 un quinto dei chip nel mercato globale. Una mossa, come osservavamo su Formiche.net, coerente con gli sforzi per rafforzare la propria autonomia strategica sulla scia degli effetti della pandemia Covid-19 che ha rafforzato la domanda di semiconduttori, cresciuta dal 5-6% al 20%, fino a una carenza globale che ha creato difficoltà a molti settori, tra cui quello dell’automobile.

Come raggiungere l’obiettivo? Secondo un recente rapporto della società di consulenza strategica Kearney è fondamentale, oltre che a guardare a Occidente verso l’americana Intel e a Oriente verso la sudcoreana Samsung e la taiwanese Tsmc, mettere mano al portafogli. “Gli incentivi governativi continuano a giocare un ruolo decisivo nell’attrarre e mantenere la capacità di produzione di semiconduttori in una regione”, si legge nel documento. Basti pensare a quanto accaduto negli ultimi 20 anni, mentre le aziende europee hanno esternalizzato la produzione in Asia: “alimentate da condizioni interne favorevoli e spesso sostenute da sussidi locali, le aziende manifatturiere cinesi sono diventate innovatrici nel settore” e hanno “dominato l’assorbimento della domanda”.

Nei giorni scorsi la questione ha fatto litigare la danese Vestager, vicepresidente esecutiva della Commissione europea con la responsabilità di costruire “un’Europa pronta per l’era digitale”, e il francese Breton, a cui von der Leyen ha attribuito un portafogli extralarge che, sotto il nome di Mercato interno, copre diversi e vasti dossier, dal mercato unico alle piccole e medie imprese, dalle transizioni verde e digitale alla sovranità tecnologica, dalla sicurezza cibernetica alla disinformazione, dalla difesa allo spazio.

“Dobbiamo evitare una gara di sussidi, gara che lascia tutti più poveri”, ha detto Vestager in un discorso pronunciato venerdì scorso all’Università di Lovanio, avvertendo che i costi rischiano di ricadere sui contribuenti. “Nelle circostanze attuali, potrebbe essere troppo difficile per le aziende resistere alla tentazione di mettere uno contro l’altro i governi, per vedere chi pagherà di più – il rischio, naturalmente, è lasciare che i contribuenti, sia europei che americani, paghino il conto e ottenere forse molto poco da questo investimento”, ha continuato. Poche ore dopo Breton ha parlato da Dresda, nella cosiddetta Silicon Saxony, area la cui economia dipende fortemente dal settore automobilistico: è “naïf” e di “corte vedute” pensare di poter rimanere dipendenti dal resto del mondo sui semiconduttori. Per questo, servono regole che permettano all’Europa una “piena capacità produttiva” nel settore.

Lo scontro si sta consumando nelle settimane decisive per la scrittura dallo European Chips Act, annunciato dalla presidente von der Leyen durante il suo discorso sullo Stato dell’Unione a settembre, e mentre la Commissione europea sta per presentare le nuove regole sugli aiuti di Stato.

E così arriviamo alla visita di von der Leyen agli stabilimenti Asml. Con lei c’era Rutte (il cui governo nei mesi scorsi è intervenuto per difendere l’azienda dalle mire della cinese Smic). E c’erano sia Vestager sia Breton. Il secondo, però, non compare nelle immagine pubblicate dalla presidente. Un segnale di sostegno alla prima? Forse no, a quanto suggeriscono le parole pronunciate da von der Leyen: per raggiungere l’obiettivo fissato per il 2030 “abbiamo bisogno di più cooperazione tra attività di ricerca in questo settore; di migliorare sul design dei chip; di rafforzare la capacità di produzione per i chip; di più cooperazione con l’industria, che svilupperà nuovi prodotti europei che useranno chip all’avanguardia”.

È una partita, quella all’interno dell’esecutivo comunitario, che coinvolge direttamente gli Stati membri. Da una parte ci sono i Paesi Bassi di Rutte e la Danimarca di Vestager che assieme a Finlandia, Irlanda, Romania e Svezia hanno chiesto alla presidente di non allentare troppo le regole sui sussidi di Stato. Dall’altra ci sono Francia e Germania, ossia il motore dell’Unione europea e gli architetti della “coalizione Ursula”, disposte ad approcci maggiormente statalisti.

E l’Italia? La posizione del governo guidato da Mario Draghi è chiara. Il ministro dello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti, incontrando il ministro francese dell’Economia Bruno Le Maire a margine del summit dei leader del G20 di Roma a fine ottobre, ha sottolineato l’importanza di una “riflessione sulla compatibilità tra sovranità tecnologica e aiuti di Stato”.

Non sembrano dunque casuali da una parte l’attenzione di Emmanuel Macron sul dialogo transatlantico sui semiconduttori, dall’altra le mire verso gli stabilimenti che il colosso americano Intel è pronto ad aprire in Europa da parte di Italia (in ballo 1.000 posti di lavoro) e Germania (pensando proprio a Dresda). Un caso, quest’ultimo, che ben fotografa l’importanza dei contribuiti pubblici per il rilancio del settore e l’attrazione degli investimenti.


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