All’Auditorium della Conciliazione la prima assemblea dei manager italiani dall’inizio della pandemia con Salvini, Meloni, Figliuolo, Farina, Guerini e Bonomi. Il presidente, Stefano Cuzzilla, chiede un patto con le istituzioni in nome della rinascita industriale del Paese e più formazione per la classe dirigente di domani. E il leader degli industriali attacca la manovra…
I manager e i dirigenti, ufficialmente, erano oltre 600. Seduti sulle poltroncine rosso fuoco dell’Auditorium della Conciliazione, a due passi dal Vaticano. Ma è un po’ come se ci fosse stata tutta l’Italia, quella industriale, in attesa di capire se il Paese del post-pandemia, forte di un Pil al 6,2% a fine 2021, sarà nuovamente scattante e competitiva, come negli anni del boom dopo la seconda guerra mondiale. Non è certo un caso che lo slogan scelto per la prima assemblea di Federmanager, la federazione guidata da sei anni da Stefano Cuzzilla (qui l’intervista a Formiche.net di pochi giorni fa), richiami proprio quegli anni a cavallo tra i ’50 e i ’60: Anno 1, l’anno della ripartenza.
E proprio di ripartenza volevano sentir parlare i manager accorsi in platea per ascoltare la relazione di Cuzzilla e i videomessaggi della ministra per le Pari Opportunità Elena Bonetti e del responsabile degli Esteri, Luigi Di Maio. Con loro, il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi e due terzi di centrodestra, rappresentato per l’occasione dai leader di Lega e Fratelli d’Italia, Matteo Salvini (intervenuto nel corso dei lavori) e Giorgia Meloni; il ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, il presidente dell’Ania, Bianca Maria Farina e il generale Francesco Paolo Figliuolo, commissario per la lotta al Covid e la campagna vaccinale, anch’esso intervenuto.
RINASCIMENTO ITALIANO
Stefano Cuzzilla, nei suoi 40 minuti di relazione intervallati da non meno di otto applausi, incluso quello finale, ha subito dato la cifra del suo intervento, scaldando il parterre prima di concedersi alle domande di Ferruccio De Bortoli. La pandemia morde ancora, ma nelle imprese si respira già aria di rinascita, di ripresa. Le belle speranze, l’entusiasmo, però, non possono bastare se non si stringe un patto d’acciaio con le istituzioni, a cominciare dal governo di Mario Draghi.
“Oggi siamo qui a ribadire il nostro impegno a collaborare con tutte le forze del Paese per un nuovo rinascimento italiano e realizzare un sistema economicamente più competitivo, socialmente più equo ed ambientalmente più sostenibile”, ha subito messo il numero uno dei manager italiani, che “hanno già dimostrato di detenere strumenti concreti e metodo d’attuazione che hanno salvato le nostre imprese nel periodo più buio della pandemia. Ora siamo pronti per concretizzare il piano più ambizioso di riforme ed investimenti che si ricordi dal dopoguerra”.
L’ORA DEL PNRR
Tutto poggia sul Pnrr, incluse le speranze dei manager. I quali sanno bene che oltre 200 miliardi di euro solo per l’Italia sono un’occasione più unica che rara. “Oltre 222 miliardi di euro che sommati alle altre risorse nazionali ed europee, configurano una capacità di spesa 10 volte maggiore di quella sperimentata finora”, ha rimarcato Cuzzilla. “Una tale improvvisa e massiccia iniezione di denaro rischia di agire come un doping sul sistema, se non si ha chiarezza su quali debbano essere gli obiettivi e su come raggiungerli”. Insomma, attenzione a non fare del Pnrr una dose di steroidi con cui gonfiare il mercato ma senza generare vera crescita.
“Risorse da spendere bene, proteggendole con rigore da illegalità, corruzione, e da un’evasione fiscale che da sola vale oltre 100 miliardi l’anno, riconoscendo che la cultura manageriale è una risorsa strategica per mettere la competenza al centro della gestione. E i dirigenti d’impresa siano chiamati a collaborare ai tavoli decisionali per l’attuazione del Pnrr”.
PIÙ MANAGER, PIÙ PIL
Soldi, speranze, entusiasmo. Ma manca l’ingrediente principale, le braccia operative, ovvero i manager, di Stato o privati che siano. E qui Cuzzilla ha ricordato l’enorme fabbisogno di dirigenti che serve a una economia avanzata. “Secondo le stime di Federmanager e i dati dell’Osservatorio 4.Manager la centralità del ruolo dei dirigenti è sempre più riconosciuta dal sistema d’impresa italiano, così come lo è stata nella fase peggiore della pandemia. Secondo l’indagine Federmanager sulle risoluzioni dei rapporti con contratto da dirigente nel 2020 il numero di manager uscito dalle imprese è stato del 15% inferiore rispetto al 2019, e a ottobre 2021 la domanda di nuovi manager è risultata del 50% superiore a quella dello stesso mese del 2020”.
Dunque, “le imprese chiedono competenze nuove, specialistiche e ad alto valore aggiunto. Una tendenza che trova riscontro nei dati forniti dall’Osservatorio 4.Manager che descrivono una difficoltà di reperimento in crescita che oggi riguarda il 36,4% del totale nuove assunzioni e che sale al 48,4% per i dirigenti. Esiste quindi un gap ancora da colmare in quanto l’offerta di profili manageriali non riesce a soddisfare la domanda”.
RIFORME E ANCORA RIFORME
Non poteva poi mancare un passaggio sulle riforme, cuore del Pnrr. Ma prima, misure a sostegno delle nuove competenze dei manager di domani, nei giorni in cui la prima manovra di Mario Draghi approda al Senato. “Federmanager è profondamente impegnata nello sviluppare piani di aggiornamento professionale e del definire i nuovi profili manageriali necessari al mercato. Prepariamo squadre di manager dell’innovazione, mobility manager, export manager, energy manager, digital cfo e manager per la sostenibilità necessari per massimizzare la ripresa economica. Oggi chiediamo al governo di sostenere questo sforzo. Chiediamo di confermare il voucher per gli innovation manager e di prevedere strumenti simili per l’inserimento delle altre figure, a partire dai manager per la sostenibilità, oltre a sgravi fiscali che incentiveranno le imprese a investire nel nuovo che serve”.
Di qui, il richiamo alle riforme, “fiscali e previdenziali. Federmanager sostiene la richiesta delle imprese di abbattimento del cuneo fiscale e richiama l’urgenza di una riforma dell’Irpef che tuteli i redditi da lavoro e semplifichi gli adempimenti”.
GENERAZIONE SMART WORKING
Ai microfoni di Formiche.net, raggiunto a margine dei lavori, Cuzzilla ha analizzato l’impatto del lavoro agile sul mondo dei manager. “Il lavoro dei dirigenti è cambiato e con grande successo. Lo smart working è una rivoluzione, ha cambiato il modo di lavorare. Ma servono contratti di lavoro, per mettere a regime questo grande cambiamento. Abbiamo avuto best practices in aziende partecipate e in multinazionali che sono diventate la regola: sarà difficile tornare indietro. In altri casi, la cultura che regge lo smart working deve ancora fare breccia, ma tuttavia credo che la fine della pandemia, che spero arrivi presto, indurrà a forme ibride, integrate da attività in presenza, perché la relazione umana sul lavoro è indispensabile”.
BONOMI ATTACCA LA MANOVRA
Ma c’è chi è andato oltre, come Carlo Bonomi. Il leader degli Industriali ha attaccato frontalmente parte della manovra all’esame del parlamento. Ribadendo ai manager alcuni concetti, già espressi nei giorni scorsi. Primo, la legge di Bilancio parla poco ai giovani. “Questo è un Paese che stenta ad apprezzare i giovani e ci pensa solo quando ci sono i passaggi elettorali. Questa non è una manovra per i giovani. Penso a questa legge di bilancio per mesi durante la campagna elettorale abbiamo sentito parlare di giovani, ma cosa c’è in questa legge di bilancio per i giovani?”.
Di più. “Ho qualche preoccupazione: questa legge di Bilancio purtroppo mi conferma che è ripartita la battaglia delle bandierine perché questa legge di bilancio, forse l’ultima ad essere espansiva che potrà per questo basarsi in larga parte sul deficit, visto che lo sappiamo che dal 2022 verranno ridiscussi i patti di stabilità, gli aiuti di stato e i finanziamenti della Bce, mi sembra che non si sia capito che debba guardare ai giovani e alle donne”, ha attaccato Bonomi. “Una legge che dovrebbe essere l’inizio di un percorso, se guardo gli interventi mi sembra che non si sia capito che noi dobbiamo dare risposte a giovani e alle donne, le tre categorie che in crisi hanno scontato più di altri effetti e che hanno pagato un prezzo altissimo”.