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Sta per nascere l’alternativa Ue alla Via della Seta. Ma basterà?

Sulla stampa tedesca le anticipazioni dell’iniziativa Global Gateway che von der Leyen presenterà nei prossimi giorni. Bruxelles “riluttante” ad affrontare la sfida cinese, dice Barkin (Gmf). E intanto si muovono anche gli Usa. Ci sarà coordinamento? Si vedrà con i primi progetti, attesi per il 2022

I problemi interni e le contraddizioni economiche stanno facendo sì che il governo cinese abbia deciso di frenare la Via della Seta. Il tutto nella fase in cui l’Occidente sta cercando soluzione per rispondere al progetto espansionistico di Pechino.

Questi sforzi sono stati al centro del primo viaggio in Europa di Joe Biden da presidente degli Stati Uniti che durante il G7 ha lanciato l’iniziativa infrastrutturale Build back a better world (B3W). Seguito, poche settimane dopo, dall’adozione da parte del Consiglio affari esteri dell’Unione europea delle conclusioni sul progetto “Globally Connected Europe” dando novi mesi di tempo alla Commissione europea per stilare una lista di “progetti evidenti e di forte impatto” in grado di creare un’alternativa europea alla Via della Seta cinese, in particolare in Africa e America Latina. Se ne discuterà a febbraio in un summit ad hoc.

Intanto, però, è pronta l’iniziativa Global Gateway, annunciata dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen in occasione del suo discorso sullo stato dell’Unione di settembre. In quell’occasione aveva annunciato l’intento di “investire in infrastrutture di qualità, che colleghino tutto il mondo. Seguiremo un’impostazione basata sui valori. Vogliamo creare legami, non dipendenze!”. Riferimento indiretto alla Via della Seta, alle varie trappole del debito e alla corruzione. Una mano tesa agli Stati Uniti e un messaggio chiaro alla Cina che pur sta spingendo – l’ha fatto durante il G20 di Roma il ministro degli Esteri Wang Yi – affinché i piani europei possano non essere in conflitto con la Via della Seta.

Il quotidiano economico tedesco Handelsblatt ha potuto visionare il progetto relativo a strade, ferrovie e dati, che verrà annunciato la prossima settimana. Sul piatto ci sono 40 miliardi di euro. L’annuncio avverrà pochi giorni dopo la visita a Washington della presidente von der Leyen, che con Biden ha parlato anche di infrastrutture e ha annunciato: “Stiamo per identificare i progetti più promettenti in cui possiamo investire come parte delle nostre iniziative congiunte”.

Tuttavia, riporta il giornale tedesco, il documento strategico della Commissione “è molto al di sotto delle aspettative”: “Non elenca progetti concreti, non formula chiare priorità geopolitiche, né affronta apertamente il conflitto sistemico con la Cina”. Si parla di “connettività”, cioè il termine tecnico che a Bruxelles si usa per parlare dei progetti infrastrutturali. Ma, nota l’Handelsblatt, il documento “tace sulla questione cruciale”, ossia come sostenere le aziende europee nei progetti e come l’aiuto pubblico può essere integrato dal capitale privato. “Eppure è chiaro che una tale leva sarebbe urgentemente necessaria per resistere finanziariamente alla Cina. Non ci sono cifre ufficiali sulla spesa cinese, ma le stime mettono il valore totale dei progetti Belt and Road a più di 1.000 miliardi di dollari”, scrive il giornale.

Manca ancora qualche giorno prima della presentazione della strategia e la bozza potrebbe essere ancora modificata rispetto a quella in possesso del giornale tedesco. Che però cita un diplomatico europeo che esprime chiaramente il suo disappunto: “Il documento è un’occasione persa e una grave battuta d’arresto per le ambizioni geopolitiche di von der Leyen”. Per Noah Barkin del German Marshall Fund, citato dall’Handelsblatt, “la Commissione sembra non avere qualcuno che rompa la guerra di trincea di Bruxelles e produca un documento strategico che non sia una semplice compilazione di parole d’ordine dell’Unione europea”. È la dimostrazione, aggiunge, “che c’è ancora una radicata riluttanza istituzionale ad affrontare direttamente le sfide poste dalla Cina”.

Nei giorni scorsi, mentre il vice consigliere per la sicurezza nazionale statunitense Daleep Singh era in viaggio in Ghana e in Senegal, Bloomberg ha rivelato i dettagli del piano che stanno mettendo a punto gli Stati Uniti e che dovrebbe vedere la luce a inizio 2022. Riflettori puntati sull’Africa. Si partirà con minimo cinque, massimo dieci progetti che riguardano le forniture di energia rinnovabile, l’aumento dei prestiti a imprese gestite da donne e la riduzione del divario digitale. Sul piatto l’amministrazione Biden mette “l’intera gamma” di strumenti finanziari possibili: partecipazioni, garanzie sui prestiti, assicurazioni politiche, sovvenzioni e competenze tecniche. Quattro le priorità: clima, salute, tecnologia digitale, uguaglianza di genere.

Una task force del Council on Foreign Relations ha concluso all’inizio di quest’anno che i prestiti della Belt and Road stavano alimentando un debito insostenibile nei Paesi poveri, permettendo opportunità di mercato sovvenzionate per aziende cinesi di proprietà statale e non orientate al mercato e promuovendo l’energia del carbone. C’è poi il risvolto politico, evidenziato da Adam Posen, presidente del Peterson Institute for International Economics, a Marketplace.org: quei prestiti a volte criticati per la poca trasparenza e la scarsa considerazione per le preoccupazioni sociali e ambientali vengono offerti “spesso con condizioni che sono o politiche o di politica estera nei confronti di Taiwan, o semplicemente che approfittano dei Paesi mutuatari”.

Rimangono due interrogativi sugli sforzi di Stati Uniti e Unione europea. Saranno sufficienti a fronteggiare una Via della Seta per quanto questa sia in ritirata? Saranno in grado Washington e Bruxelles di lavorare congiuntamente? Soltanto i primi progetti, che dovrebbero vedere la luce nella prima metà del 2022, potranno dare qualche prima risposta.

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