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Haftar e Gheddafi junior, i primi candidati per le presidenziali in Libia

Prima il figlio del rais, poi colui che fino a poco più di un anno fa voleva diventare il nuovo rais. Le prime due candidature per le presidenziali in Libia scontentano parte dell’elettorato

Oggi, lunedì 15 novembre, il leader miliziano di Bengasi Khalifa Haftar presenta la sua candidatura alle elezioni presidenziali in Libia. Ieri, domenica 14 novembre, con un video atteso da giorni, era stato Saif al Islam al Gheddafi, figlio dell’ex rais, ad annunciare la sua partecipazione alla corsa elettorale.

Le elezioni generali sono state convocate con una risoluzione dell’Onu di aprile e si terranno il 24 dicembre — percorso rafforzato dalla recente Conferenza internazionale di Parigi, da cui è uscito chiaro che il voto è un passaggio cruciale (posizione tenuta dall’Italiaseppure rischioso, per consolidare l’attuale fase di stabilizzazione. Secondo l’agenda, c’è tempo fino al 22 novembre per presentare gli incartamenti necessari per partecipare alle presidenziali.

Se Haftar è certamente un personaggio controverso responsabile dell’aggressione che ha prodotto l’ultima guerra civile (il cui cessate il fuoco è in piedi da poco più di un anno), anche il 49enne Saif al Islam ha i suoi problemi. Difficilmente si mostra in pubblico, dal 2014 è quasi un fantasma fatta eccezione per un’apparizione in un’intervista concessa a luglio al New York Times in cui dichiarava di volersi occupare nuovamente di politica.

Ora con la candidatura, come allora con l’intervista, ha creato polemiche. Condannato a morte per crimini collegati alla repressione delle proteste durante la rivoluzione che nel 2011 portò alla destituzione e all’uccisione del padre Muammar Gheddafi, fu poi scarcerato (gli fu concessa la fuga da una milizia amica).

I libici lo considerano come colui che sarebbe stato il naturale successore del padre, come ricordava su Formiche.net Arturo Varvelli in uno sliding doors a dieci anni dalla scomparsa del rais. Per questo in tanti lo vogliono morto, mentre altri reazionari lo consideravano ancora valido (è visto come un sorta di riformatore, perché forte della sua laurea alla Lse di Londra aveva immaginato riforme economiche già sotto il padre).

Haftar e Saif al Islam hanno elementi in comune. Innanzitutto, entrambi hanno pendenze con la Corte internazionale dell’Aia, che parla della milizia haftariana come della responsabile di gravi violazioni a danno della popolazione civile. La stessa Corte penale internazionale ha chiesto l’arresto di Gheddafi junior anche dopo la sua scarcerazione — condannata dall’Aia con l’ammonimento: “La Libia è obbligata ad arrestare e consegnare immediatamente Gheddafi indipendentemente da qualsiasi presunta legge di amnistia”.

Haftar e Gheddafi sono stati su posizioni simili, sebbene non dichiarate troppo ufficialmente. A facilitare questi contatti ci ha pensato anche la Russia. Mosca ha dato sostegno di vario genere al generalissimo, consapevole però che la sua figura — sebbene basata su un parziale controllo militare di parti della Cirenaica — si stava inflazionando. Saif al Islam è l’opzione che i pianificatori del Cremlino hanno tenuto buona. Solo parzialmente più potabile, ma sempre utile per creare caos all’intento del percorso elettorale, per un Paese come la Russia che preferisce il mantenimento dello status quo: una Libia divisa in cui esercitare più facilmente influenza su individui e gruppi di potere, senza troppi competitor e in allineamento di interessi con Egitto e Stati del Golfo.

Haftar e Gheddafi hanno entrambi grossi problemi di sicurezza. Se Saif al Islam è un condannato a morte de iure, Haftar lo è de facto. Le milizie di Misurata e di Tripoli che hanno resistito all’aggressione haftariana durante la recente guerra civile, portano ancora il nome che si sono date durante la rivoluzione contro Gheddafi. E dunque, i primi due candidati alle presidenziali libiche sono due soggetti che rischiano la vita se passeggiano in alcune aree del Paese. Questo non solo crea loro problemi enormi riguardo l’impossibilità di parlare a un vasto elettorato, ma costruisce una sovrastruttura divisiva legata già soltanto alle candidature in sé — quando i libici avrebbero bisogno di una figura inclusiva in grado di gestire costituency e posizioni molto diverse.

Sebbene è possibile che le questioni legali pendenti siano usate dalla Commissione elettorale per bloccare quanto meno la candidatura dell’erede di Gheddafi, è altrettanto vero che l’annuncio innesca una dinamica potenzialmente dannosa. L’esclusione potrebbe portarsi dietro le proteste di chi è ancora legato a Saif al Islam — anche nel ricordo del rais — e creare ulteriori tensioni. Lo stesso potrebbe succedere se si dovesse permettergli la partecipazione alla competizione.

Come con le elezioni in sé, in Libia vale spesso tutto e il contrario di tutto. In questo, qualcosa di molto simile vale per Haftar. Il capo miliziano dell’Est è spesso stato incluso nel dialogo internazionale sulla Libia, ma da più della metà dei libici — quelli che vivono nel popoloso Ovest del Paese — è considerato un criminale di guerra da arrestare (o uccidere). Questa settimana sarà quella delle candidature: “Ci meritiamo di meglio di queste due figure, certamente!”, commenta una fonte libica a Formiche.net.



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