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Aumento di capitale e nuovo compratore. La road map del Tesoro su Mps

Il direttore generale del Mef e primo negoziatore per la cessione di Mps, Alessandro Rivera, interviene in Parlamento e apre il ciclo delle informative su Siena, dopo il flop delle trattative con Unicredit, in attesa di Orcel, Franco e Bastianini. Lo Stato non può restare azionista per sempre ma un’aggregazione nel breve termine è fuori discussione. L’Europa? Andrà incontro all’Italia

L’attesa era molta, vista anche la posta in gioco. Alessandro Rivera, direttore generale del Tesoro, è l’uomo che ha negoziato in prima persona, affiancato dai consulenti di Bank of America, la possibile vendita del Monte dei Paschi a Unicredit. La parte sana almeno, cioè sgravata dai costi legali (6 miliardi), sofferenze e filiali del Sud. Tutto, come noto, è poi rovinosamente franato a causa di una precisa richiesta prontamente rispedita dal Mef al mittente, alias Andrea Orcel, ceo di Unicredit: un aumento di capitale da 6,3 miliardi. Ed è a quel punto che è saltato il banco.

Nell’attesa di ascoltare la versione di Orcel e di Guido Bastianini, ad di Mps (8 novembre) e quella del ministro Daniele Franco, per Via XX Settembre era necessario fare subito chiarezza sulle prospettive della banca più antica del mondo, ora che l’unico compratore si è tirato indietro. E a presentarsi in Parlamento, dinnanzi alle commissioni Finanze di Camera e Senato, è stato proprio il numero due del Tesoro.

ADDIO A MPS (PRIMA O POI)

La strategia delineata da Rivera è tutto sommato chiara: risanamento di Mps, ricapitalizzazione di mercato dell’istituto (non meno di 3 miliardi) e ricerca di un nuovo possibile acquirente. Un piano stand-alone ma a tempo determinato, perché, nel caso non fosse abbastanza chiaro, lo Stato non può (e non vuole) restare nel capitale del Monte per decenni.

“La permanenza sine die dello Stato in Mps non è realizzabile”, ha subito messo in chiaro Rivera. “A prescindere dalla tempistica la privatizzazione costituisce un punto di arrivo necessario in ogni caso. In coerenza il ministero è ancora incaricato di dismettere la partecipazione anche con operazioni straordinarie”. Dunque, più presto che tardi, il Tesoro dovrà mollare la presa su Siena. “Non possiamo ipotizzare che il Monte diventi il perno di una costruzione in mani pubbliche di un terzo polo, di una banca dei territori, o di una banca pubblica di investimenti. Non con il Monte dei Paschi, perché il Monte ha ricevuto un aiuto di Stato e questo ha delle conseguenze”, ha puntellato Rivera

Nelle more del futuro disimpegno, Via XX Settembre “continuerà a garantire che la banca sia gestita in modo efficiente e rimanga patrimonialmente solida con strategie volte alla valorizzazione della partecipazione, alla salvaguardia del valore storico e dei livelli occupazionali”.

CACCIA AL COMPRATORE

Per uscire di scena serve però un compratore. Non subito, perché per smaltire il fallimento delle trattative con Unicredit ci vuole tempo. E poi bisogna pensare alla ricapitalizzazione, senza la quale Mps non può stare in piedi sulle sue gambe. In questo momento “una ulteriore aggregazione sarebbe un altro percorso estremamente complesso: sarebbe necessario molto tempo ed una proroga dell’incentivo per queste operazioni che scade entro giugno del prossimo anno (le Dta, ndr)”, ha spiegato Rivera.

“Non sarebbe semplice ipotizzare che in questo lasso di tempo si possa completare un ulteriore approfondimento. Ora siamo concentrati sul su piano della banca da presentare alle autorità coinvolte ed al mercato.”  Ma nonostante tutto si può già tracciare un identikit del futuro sposo di Mps, già ben chiaro nella testa di Rivera. ”La procedura è stata aperta e competitiva. Si tratta di una banca con 1.400 filiali e 21 mila dipendenti è quindi necessario un soggetto rilevante”.

L’ALTRA TRATTATIVA

Ma c’è un’altra trattativa che il governo italiano deve portare avanti, forse meno industriale e più politica ma non per questo poco strategica. Anzi. Quella con l’Europa che all’indomani della fumata nera con Unicredit, dovrà concedere una proroga (il Tesoro punta a non meno di 18 mesi) per permettere all’azionista di ricapitalizzare la banca e rimetterla sul mercato.

Al Tesoro c’è ottimismo. “Sui termini per la realizzazione del piano di Mps sono state avviate interlocuzioni con la Commissione europea per ottenere una proroga adeguata e non allo stato quantificabile. Noi crediamo che sia necessario discutere di una proroga congrua. Con congrua intendo con un lasso temporale sufficientemente lungo per porre in essere delle ulteriori azioni di rafforzamento della banca e di miglioramento delle sue prospettive reddituali.”

LA VERITÀ SU UNICREDIT

Rivera ha poi voluto chiarire un punto, quello sulla presunta posizione di debolezza del Tesoro nel confronto con Orcel. “Nelle trattative con Unicredit per la cessione di Mps non credo che il Tesoro si trovasse in una condizione di debolezza. Avevamo una scadenza nota ma non eravamo costretti a chiudere. L’obbligo e l’impegno che avevamo era per chiudere l’operazione entro il 31 dicembre di quest’anno ma a condizioni di mercato. Quindi se le condizioni di mercato non ci sono noi non concludiamo e non siamo costretti a farlo.” Ma ormai è storia.



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